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Luca Ferrari: no alla cultura elitaria, borghese e spettacolarizzata. Scegliamo forme culturali costruite dal basso. Cremona può cambiare. L’esempio vincente delle associazioni ambientaliste, dei centri sociali e del volomtariato

Creato il 15 settembre 2012 da Cremonademocratica @paolozignani

A me pare che la concezione della cultura che informa gran parte degli interventi su queste pagine (dalla proposta del prof. Bonali alle varie reazioni, in particolare quella di Cremonesi) siano viziata da presupposti superati, parziali e sicuramente miopi rispetto a quanto si manifesta nella realtà. Una visione elitaria, classista, mercantile della cultura (e per esteso dell’arte) che non solo non aderisce a quanto fattualmente si osserva anche nella realtà di Cremona (a saperla/volerla osservare), ma che, ed è certamente l’elemento più sconfortante, esprime una visione eticamente detestabile, perché escludente, eterodiretta, massificante.

E’ sufficiente leggere la voce “cultura” su Wikipedia (per quanto provvisoria e superficiale) per capire che il termine ha accezioni varie e afferisce a una dimensione multidisciplinare della conoscenza. Bisognerebbe quindi forse partire da qui e chiedere al prof. Bonali e a chi si è interessato al dibattito di chiarire qual è l’idea di cultura da cui muove la sua proposta.

In genere, mi sembra si rimananga sprofondati in un ordine di idee che mutuano il significato di cultura dal dispositivo della “spettacolazione”, nella peggiore accezione analizzata e rigettata da Guy Debord nel predittivo “La società dello spettacolo” (1967): si scrive infatti di eventi organizzati che “lascino il segno”, intendendo ancora una volta (come sempre!): mostre, musei, rassegne… e tutto quanto fa spettacolo, in una dimensione in cui è previsto un fruitore (pubblico) che acquista il biglietto e batte le mani, compresso in una logica di assoluta, rassegnata passività (anche nelle evolute versioni cosiddette ‘interattive’…).

Ma la cultura è un processo di costruzione di senso, che esiste a prescindere dal mercato e dalle merci (l’aberrante “prodotto culturale”), che si manifesta anche in assenza di mecenati, politici illuminati, imprenditori, esperti di marketing, ‘creativi’, presunte star cine-televisive…
In una società realmente ‘aperta’ (non questa italiana, tanto meno a Cremona) coesistono innumerevoli forme culturali che nascono ‘dal basso’, dalla gente per la gente, e che hanno la funzione imprescindibile di trasmettere/rafforzare valori archetipi quali l’identità di una comunità, la sua Storia, le sue tradizioni, le sue visioni del futuro… in una dialettica di rielaborazione.

L’idea di un a cultura centrata quasi esclusivamente su eventi, rassegne o musei (l’ultimo in arrivo, il “Museo del Violino”… nel 2012?, chiedo provocatoriamente) produce quanto di peggio stiamo osservando: muoverà anche l’economia locale (in genere, oltretutto, a vantaggio di pochi), attirerà il mitizzato ‘turismo di massa’ (altra aberrazione della modernità/post modernità), “farà conoscere Cremona nel mondo” (altro luogo comune) ma non sembra incidere sulla coscienza profonda della comunità: a un evento ne segue un altro, come in TV a uno sceneggiato succede un programma a quiz… e si finisce presto per dimenticare trama e significati con l’effetto di generare un diffuso senso di ‘disorientamento’ (ancora Debord).

A Cremona, al di là delle tradizionali legittime critiche di immobilismo mosse alla politica amministrativa, la dimostrazione che possano esistere culture ‘alternative’ all’idea paludata e superata dell’establishment e delle elite intellettuali è offerta dal fenomeno salito alla ribalta in questi ultimi anni (nonostante tutta la diffidenza e l’ostracismo!) dell’ASSOCIAZIONISMO DI MATRICE AMBIENTALISTA (gruppi di cittadini riunitisi per contrastare le logiche di una politica ambientale deleteria), dalla presenza di GRUPPI POLITICAMENTE ANTAGONISTI (facenti riferimento ai centri sociali) che si vorrebbe, potendo, cancellare dalla faccia della terra, del VOLONTARIATO SOCIALE (imprescindibile per la funzione di sussidiarietà con il Pubblico che riveste nella gestione dei fenomeni sociali).
Esperienze nate ‘dal basso’, assolutamente non eterodirette dalla politica o da altri interessi, non finalizzate all’intrattenimento o alla vendita di ‘prodotti culturali’, ma tese a riflettere sulla realtà per trasformarla sulla base di un confronto di idee e la costruzione di proposte.

Perché la cultura è prerogativa di tutti (anche di chi, e so di esprimere un’idea che irriterà certamente qualcuno, scrive con lo spray sui muri della città – a volte semplicemente imbrattandola, altre per comunicare ciò che non ha voce), a patto che i decisori prendano coscienza che quello che serve, in realtà, non è calendarizzare eventi per attirare nuovi pubblici (Cremona non potrà mai essere Londra o New York, anche se nelle fantasie di qualche politico o intellettuale ambizioso), ma favorire (attraverso la promozione di contesti/spazi/opportunità/strumenti…) la partecipazione e l’espressione della comunità tutta, senza esclusioni.
A maggior ragione oggi, in un’Italia sempre più volgarmente classista, dove con una minoranza che ha tanto (troppo!) convive una massa crescente di persone che ha sempre meno, spesso neanche il minimo vitale.
Ed è paradossale che anche in una contingenza tale parlando di cultura si continui a ragionare sulla base di un’idea di società astratta, che temo non esista.

Luca Ferrari

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