Poco importa che, come riporta Telese, già nel 1956, 101 intellettuali comunisti condannassero l’invasione di Praga da parte della benemerita U.R.S.S.. E trascurabile anche il fatto che il Carismatico Enrico avesse preso già da tempo le distanze dall’autoritarismo di Mosca. Il prezzolato genero dello Smunto Leader (Telese è il marito della figlia più piccola di Berlinguer, Laura N.d.A.) compie bieco meretricio di verità quando riporta la famosa intervista in cui a un attonito Giampaolo Pansa, Enrico dichiara che il PCI si senta più protetto sotto l’ombrello della Nato che sotto quello della Russia di Breznev. Quisquilie ideologiche per i Giovani Revisionisti che sanno di essere i prediletti del destino. Infatti Claudio Petruccioli, numero due di Occhetto ai tempi della Svolta, è stato il presidente della Rai più lottizzata da Tangentopoli in poi. Veltroni da segretario del PD ha perso tutto quello che si poteva perdere, fino all’amministrazione del suo condominio. Fassino ha avuto un ruolo imprescindibile in tutte le sconfitte del PDS e delle sue successive trasformazioni, fino all’elezione a sindaco di una città come Torino dove la sinistra avrebbe vinto anche se avesse candidato Storace. D’Alema, come ricorda Telese con dissimulata acrimonia, nonostante la sua furbizia politica è stato Presidente del Consiglio per appena un anno e mezzo alla guida di un carrozzone di sigle partitiche ancora più immobile di quello di Prodi. “Qualcuno era comunista” è una favola dal retrogusto nostalgico. L’autore si diverte ad immaginare una sinistra che metteva al centro della sua politica gli operai e gli ultimi di questo malandato Paese, dove i politici erano più capibastione che impenetrabili dirigenti, dove gente sorpassata dalla Storia come Pietro Ingrao si ostinava a volare in un iperuranico “orizzonte del comunismo” a cui titanicamente tendere, come se il capitalismo a quei tempi si potesse ancora condannare in toto a favore di un’alternativa radicale, almeno ideologicamente! E pur correndo il rischio della dietrologia, Telese si ostina a favoleggiare di luoghi desueti come le sezioni (adesso il PD li chiama molto più elegantemente “circoli”) dove i militanti (altro arcaismo!) davano vita ad estenuanti dibattiti che potevano davvero influenzare le decisioni del gruppo dirigente. Nel corso della narrazione si stagliano figure credibili al pari degli Gnomi, come il meccanico della Brava Persona che discettava con lui di teoria comunista o quegli operai che dopo il turno in fabbrica andavano a studiare Il Manifesto di Marx. Tempi troppo credibili per esseri veri, passato troppo recente per essere salvato. C’erano una volta i comunisti, forti e credibili come opposizione coriacea, autori di alcune battaglie sindacali che hanno migliorato la vita degli operai o di alcune lotte, come quella sul divorzio, che hanno conquistato diritti fondamentali. C’erano una volta i comunisti e adesso non ci sono più, almeno in Parlamento, ridotti a barzelletta destroide o Babau inverosimili. E poi, rapido come uno starnuto, l’epilogo. La Svolta diede la stura all’Avvento berlusconiano. La sinistra si trovò impreparata al più improbabile dei sogni che nessun comunista avrebbe mai potuto immaginare: con Tangentopoli DC e PSI, fieri avversari dal dopoguerra in poi, furono cancellati da quel golpe giudiziario. Niente sembrava precludere la presa del Potere. Ma a quell’appuntamento, per fortuna, i comunisti arrivarono frazionati per via della “Svolta”, così che il guerresco apparato pubblicistico di una forza nata e cresciuta in appena tre mesi, il Berlusconismo, ebbe vita facile nell’andare al governo. Come tutte le favole, anche “Qualcuno era comunista” ha una morale di fondo. Guardate la società di oggi, priva di quei mangia-bambini, e la ricaverete.
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