Lucarelli racconta: Boris Giuliano, Pasquale Juliano e Silvio Novembre

Creato il 29 maggio 2012 da Funicelli
Cosa hanno in comune i tre uomini dello stato di cui ieri sera si è occupato il racconto di Lucarelli?
Erano tre uomini che nel loro lavoro si sono trovati soli, o con pochi amici al fianco, di fronte ad un enorme potere criminale. Come quegli eroi che cercano di fermano la locomotiva con la mano ..
Boris Giuliano, alla squadra mobile di Palermo, applicò il suo metodo originale per attaccare Cosa nostra, partendo dal suo patrimonio, che in quegli anni si stava gonfiando grazie al traffico di droga con gli Stati Uniti.
Giuliano, con la sua intenzione di seguire i soldi, andò a sbattere non solo con la mafia criminale, ma anche con la mafia finanziaria (e per questo cercò di contattare l'avvocato Ambrosoli lassù al nord).
Aveva fatto l'intuizione giusta: quella che poi seguì anche il pool di Chinnici e Caponnetto, anni dopo.
Pasquale Juliano si definiva un poliziotto che su al nord, dava la caccia ai criminali. A Padova indagò sulle bombe che iniziarono a scoppiare a Padova nell'estate del 1969.
Bombe di destra, i primi frutti amari della strategia della tensione: con ben sei mesi di anticipo intuì, e avrebbe potuto fermare la bomba del 12 dicembre a Milano.
Juliano, a capo della squadra politica, indagò sul consigliere dell'MSI Fachini, sull'avvocato Freda e sul libraio editore Ventura. Tutti esponenti di Ordine Nuovo.
Fu fermato con una trappola, organizzata da ON stesso ma anche da qualche talpa all'interno del commissariato (che avvertiva gli indagati delle intercettazioni): indagato con la falsa accusa di aver messo la bomba addosso ad un militante (Pezzato) del gruppo per accusare Fachini, fu sospeso dal servizio e poi allontanato.
"sono imminenti degli attentati" lasciò scritto sul suo memoriale che consegnò ai magistrati.
Aveva ragione lui, ma nessuno, dentro lo stato, gli chiese scusa.
Silvio Novembre faceva parte di quella leva di giovani finanzieri che non si limitavano ai soliti accertamenti sulla contabilità, nel loro lavoro. Ma facevano analisi sui costi di produzione, direttamente dentro le aziende di cui dovevano verificare la contabilità.
Come la Banca Privata Finanziaria di Michele Sindona, su cui la magistratura aveva aperto una incheista per bancarotta.
Qui, Novembre incontrò il commissario liquidatore Giorgio Ambrosoli, l'eroe borghese: insieme scoprirono quanto era ampio il potere criminale di Sindona.
Dentro lo stato, per la sua amicizia con Andreotti (che lo definì "salvatore della lira"), con il Vaticano (per i suoi legami con Marcinkus e con Paolo VI che disse di lui che era "uomo della provvidenza"), con la mafia (Sindona riciclava i soldi delle famiglie palermitane), della loggia P2.
Novembre e Ambrosoli resistettero a minacce, pressioni, lusinghe.
Per servire il paese, il loro unico obiettivo.
Al funerale di Ambrosoli, ucciso per ordine di Sindona, nessuna uomo delle istituzioni: "era uno che se l'andava a cercare", ha commentato qualche anno fa Andreotti. Sette volte presidente del Consiglio.

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