Luce d’Agosto: un Racconto Sotto il Sole del Mississippi

Creato il 09 luglio 2013 da Dietrolequinte @DlqMagazine

Debora Ramella 9 luglio 2013

«Hai mai notato come la luce in agosto sia diversa da ogni altro periodo dell’anno?». Si racconta che sia grazie a questa casuale affermazione, fatta dalla moglie dell’autore durante una calda serata estiva, che William Faulkner decise di cambiare il titolo del suo settimo romanzo dall’originario Dark House (Casa Buia in italiano) a Luce d’agosto. In seguito critici e giornalisti formularono diverse supposizioni sul significato recondito del titolo e di come questo si potesse collegare agli eventi narrati nel volume. Tuttavia quando Faulkner verrà interrogato a riguardo, risponderà semplicemente che Light in August si riferisce alla particolare qualità della luce che illumina la sua terra (lo stato del Mississippi) nel mese di agosto «fulgida, nitida, come se venisse non dall’oggi ma dall’età classica». Titolo particolare per un libro, pubblicato in Italia da Adelphi a cura di Mario Materassi, con così poca luce e tante ombre. Faulkner scatta un’istantanea degli anni Trenta nel cosiddetto “Profondo Sud” degli Stati Uniti: gli stati sudisti, la parte del Paese più dipendente dalle piantagioni e dalla tratta degli schiavi, usciti pesantemente segnati dalla Guerra Civile. Il romanzo è ambientato per la maggior parte a Jefferson, immaginaria città dell’ancora più immaginaria contea di Yoknapatawpha, trasposizione letteraria della contea di Oxford, Mississippi, terra natale dell’autore. La povertà, si sa, è terreno fertile per la violenza. La segregazione razziale, il proibizionismo e la fede portata ai limiti del bigottismo completano il quadro di una realtà arida e in apparenza statica che traspare dai volti di pietra e dalle parole asciutte dei personaggi che si susseguono nel racconto. Tuttavia si tratta di un’immobilità solo apparente che cova la violenza come il fuoco sotto le ceneri, a cui basta un soffio di vento per divampare. La miccia di questo fuoco è un uomo taciturno, dal viso impassibile e un po’ malevolo che risponde al curioso nome di Joe Christmas. L’uomo, abbandonato in un orfanotrofio in tenera età, non sa nulla dei suoi genitori e approda a Jefferson in cerca di lavoro. La sua carnagione è troppo chiara per essere un uomo di colore ma Joe è tormentato dalla segreta convinzione di essere un meticcio, pur non avendo alcuna prova certa. L’America di allora non era certo il “melting pot” di oggi: la segregazione razziale aveva preso il posto della schiavitù, le unioni miste erano proibite ed essere mulatti significava essere in bilico tra due mondi, senza appartenere a nessuno dei due. Joe Christmas è forse uno dei personaggi più affascinanti creati dall’immaginario di Faulkner e principalmente perché è poco prevedibile. Nell’arco della sua vita, da capro espiatorio diventa carnefice e lo scrittore si astiene dal giudicare se alla fine sia una vittima o un colpevole.

È un animale braccato che alterna momenti di lucidità a comportamenti impulsivi e feroci. Non conosce le sue origini, ma sente di essere qualcosa a metà: è un eterno forestiero ovunque vada e le persone che incontra nel suo cammino sembrano percepire istintivamente che Joe abbia qualcosa fuori dall’ordinario, di sinistro e viene automaticamente etichettato come un poco di buono. Faulkner ha voluto fare di reietti ed emarginati i personaggi principali del suo libro: Joe, Lena, il reverendo Hightower, Joanna Burden sono relegati ai margini della società perché diversi e non conformi alla morale e alle regole dell’austera collettività sudista. Tramite la tecnica del flashback lo scrittore ne fa sapientemente riaffiorare le storie e ne mette a nudo le debolezze e le ossessioni. In particolare, alla figura cupa e irrazionale di Joe viene contrapposta Lena, una giovane ragazza di campagna rimasta incinta e abbandonata dal compagno con vaghe promesse di un futuro ricongiungimento. Nella ultraconservatrice società sudista una ragazza incinta fuori dal vincolo matrimoniale perde il suo status di donna onesta e il rispetto da parte della gente. Appena la sua gravidanza diventa evidente Lena viene cacciata dalla famiglia adottiva. Il suo istinto e alcuni pettegolezzi raccolti in giro la inducono a credere che il padre del bambino sia a Jefferson e decide quindi di mettersi in viaggio, sola e senza mezzi, per raggiungerlo nella città dove per un soffio la sua storia non incrocerà quella di Joe. Jefferson è quindi il punto focale del romanzo, è qui che le vite dei due protagonisti, senza mai toccarsi tra loro, subiscono una svolta. Luce d’agosto è una storia di ingiustizia sociale dal sapore aspro e risvolti crudeli, che dà poche speranze di riscatto ma ha il pregio di farci riflettere su cosa sia la discriminazione, oggi come ieri. Questo libro è forse uno dei lavori meno conosciuti di Faulkner, nonostante ciò oggi è considerato a pieno diritto un capolavoro della letteratura americana. Tuttavia ai tempi della sua pubblicazione il romanzo riscosse un tiepido successo e curiosamente sembra che l’autore stesso abbia mostrato scarso interesse nei confronti della sua opera. Personalmente penso che sia un libro che valga la pena di leggere almeno una volta nella vita. Si tratta di una lettura impegnativa sia per i temi trattati che per lo stile della scrittura in sé, appesantito dai continui flashback, pur rimanendo forse uno dei romanzi più accessibili di William Faulkner. Se state cercando qualcosa di leggero per rilassarvi sotto l’ombrellone, Luce d’agosto non farà al caso vostro ma se volete immergervi per un po’ nell’America degli anni Trenta o avvicinarvi al lavoro dello scrittore questo romanzo è la scelta giusta.


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