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Luce d’estate ed è subito notte Il mondo visto da un paesino d’Islanda

Creato il 17 marzo 2014 da Tiziana Zita @Cletterarie

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Partendo dall’isola di Lewis, nelle Western Ebridi a nord della Scozia (vedi La trilogia dell’isola di Lewis), passando per l’Irlanda e le isole Aran (Le genti felici leggono e bevono caffè), fino a un paese sperduto della Corsica (Il sermone sulla caduta di Roma), siamo infine approdati in Islanda con Luce d’estate ed è subito notte.
Un giro delle isole che forse non è ancora finito, ma di sicuro qui ci vorremmo fermare… “perché a volte nei posti piccoli la vita diventa più grande”.
Luce d’estate l’abbiamo letto in due, io e Roberto Concu che, essendo un lettore prodigio, poi si è letto tutti i libri di  Stefánsson in circolazione. Ecco il risultato.

Luce d’estate di Tiziana Zita

Stefansson
In paese c’era un uomo, il giovane direttore del Maglificio, che abitava nella villa più grande, aveva una moglie talmente bella che tutti le morivano dietro, due figli, guidava una Range Rover, si faceva fare i vestiti su misura e tutti erano grigi rispetto a lui. Ma un bel giorno si mise a sognare in latino e partì per il sud. Nessuno riuscì a capire il profondo cambiamento che subì il direttore. Quando tornò sapeva il latino. Perciò tutti in paese si chiesero se non dovessero per caso andare a sud per imparare anche loro il latino e guadagnare uno sguardo nuovo, ma alla fine non c’è andato nessuno “sai com’è, tutti inchiodati come siamo nel campo magnetico delle abitudini”.

Fatto sta che quando tornò era cambiato, non c’era più quel lampo risoluto nel suo sguardo ma, qualcosa che forse era estasi e dopo circa un anno cominciarono ad arrivare i libri alla posta del paese. Il primo fu il Discorso delle comete di Galileo, che gli costò la Toyota, seguì un libro ancora più vecchio, Sulle rivoluzioni dei corpi celesti di Copernico, che a quanto pare gli costò la villa, ma la pazienza della moglie toccò il limite quando arrivarono le prime edizioni dei libri di Giovanni Keplero. A nulla valsero i tentativi di farlo rinsavire. E dire che l’Astronomo – come fu ribattezzato dopo l’arrivo dei libri – aveva tutto, a cominciare dalla moglie: era così bella e sensuale che…

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“abitava i nostri sogni e c’era chi, come Simmi, che allora andava per i cinquanta, scapolo, grande appassionato di cavalli, ne aveva dodici, era totalmente pazzo di lei e pensava a volte di trasferirsi altrove per poter recuperare un po’ d’equilibrio. Andava a cavalcare ogni giorno davanti alla sua casa nella speranza di scorgerla, anche solo per un attimo”. Il povero Simmi un giorno che la incontrò, anche lei a cavallo, fu quasi una rivelazione e malgrado fosse un fantino provetto, cadde da cavallo. “La bellezza mi ha disarcionato, ebbe a dire in seguito, ma alcuni credevano che si fosse semplicemente buttato, in una sorte di disperazione o follia momentanea”. Fatto sta che “si ruppe un femore, si slogò un braccio e rimase lì disteso a terra”. Purtroppo nel paese non c’era un medico perché quello vecchio era morto da tre giorni e l’innamorato dovette accontentarsi del veterinario che se la cavò benone perché oggi Simmi zoppica appena.

E’ come se in questo paesino islandese si vedessero le relazioni umane ridotte all’osso e allora tocchiamo con mano l’enorme paura di fronte al sesso, di fronte all’umano di sesso opposto, il senso profondo di inadeguatezza. Gli approcci sono talmente difficili e spaventosi che alcuni preferiscono restare soli, piuttosto che affrontare l’imbarazzo e la fatica dell’impresa.

Comunque la moglie dell’Astronomo se ne andò a sud con la figlia e i nove dipendenti del Maglificio si trovarono in mezzo a una strada. Per far fronte alla disoccupazione cinque donne s’incontrano due volte la settimana e si fanno compagnia. “Dieci mani in una stanza, dieci mani disoccupate che un tempo facevano parte di una catena, lasciavano un segno sulla vita di tutti i giorni, e guardale adesso che spreco di mani…” “Le dieci mani si dimenano come api arrabbiate”.

Anche se questo è un posto “dove non succede mai niente, dove niente si muove se non il mare, le nubi e quattro gatti” gli abitanti del paesino hanno sempre così tante cose da fare! “Siamo sempre in movimento invece di fermarci ad ascoltare la pioggia, bere una tazza di caffè, scaldare un petto. E non scriviamo mai lettere”.

“Del resto le persone cambiano di continuo, si creano nuovi interessi, si tingono i capelli, tradiscono il partner, muoiono, è impossibile tenere dietro a tutto, abbiamo già il nostro bel daffare ad ascoltare il brusio che ci ronza in testa”.
Ma tradire su un’isola non è facile. Insomma puoi anche farlo ma ti scoprono di sicuro. E’ quello che succede al grassissimo Kjartan e all’atletica Kristin: mentre lui ripara la staccionata e lei corre per i campi s’incontrano e vengono colti da raptus erotico. Diventano amanti. Quando la moglie di lui scopre che l’ha tradita, spara alla cagna e ai suoi tre cuccioli, taglia il collo al gallo, poi lo mette nella macchina e gli dà fuoco.

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Prima di diventare scrittore, l’islandese Jón Kalman Stefánsson è stato impiegato in un macello, nell’industria ittica, muratore, bibliotecario e persino ufficile di polizia aeroportuale. Con Luce d’estate ed è subito notte, pubblicato nel 2005, ha vinto il Premio Letterario Isalndese ed è arrivato il successo. Ambientato in un paesino dove tutti si conoscono, è un libro pieno di storie, umorismo e poesia. Lo dico anche se spesso si definisce “poetico” qualcosa che è solo noioso, o incomprensibile, perché nel vasto giardino della poesia cresce di tutto. In effetti le prime pubblicazioni di Stefánsson sono state raccolte di poesie. L’autore pensa che la poesia, insieme alla musica, sia la forma più profonda di espressione e quella più capace di commuovere perché può essere illogica e pure avere un senso.

“E’ la ricerca che ci insegna le parole per descrivere lo splendore delle stelle, il silenzio dei pesci, il sorriso e lo sconforto, la fine del mondo e la luce dell’estate. Abbiamo un compito, a parte baciare labbra: sai per caso come si dice “ti desidero” in latino? E come si dice in islandese?”

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di Roberto Concu

Tra i romanzi di Jón Kalman Stefánsson, Luce d’estate si staglia come una stella polare nel cielo d’inverno. Siamo ancora una volta su un’isola, l’Islanda, dove il vento e il gelo rendono eterno l’inverno. E trasformano ogni elemento in una metafora dell’avventura umana.

Luce d’estate precede la trilogia che ha fatto conoscere Stefánsson fuori dall’Islanda: Paradiso e inferno, La tristezza degli angeli, pubblicati da Iperborea, e Il cuore dell’uomo, in uscita a aprile 2014. Storie tragiche di marinai che sfidano l’asprezza dei giorni e delle notti per necessità. Storie di uomini ruvidi, solitari che affrontano accecanti bufere di neve alla ricerca di se stessi. Il crudele mistero della natura renderebbe la vicenda umana quasi una mission impossible se i personaggi, attraverso la parola dell’autore, non fossero capaci di andare oltre e vivere pienamente quel mistero. Ognuno a modo proprio. Qui la parola di Stefánsson si rivela poetica. Non tanto perché lo stesso Stefánsson ha esordito come poeta quanto perché riesce a mettere a nudo l’essenza della natura umana.

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Se negli altri romanzi citati i protagonisti affrontano a muso duro se stessi e la vita, come se fosse una tragica lotta all’ultimo sangue dall’esito scontato, in Luce d’estate cercano di essere loro stessi creatori del proprio destino. Senza ricorrere a sotterfugi o rimanere amaramente imprigionati nei rimpianti e nelle loro debolezze. Bensì rimescolando le carte delle loro esistenza con decisioni apparentemente paradossali che fanno sorridere se non addirittura gioire. La realtà prende un nuovo sentiero grazie al sogno e al coraggio (o incoscienza?) di realizzarlo. Il direttore del prospero maglificio che per inseguire il significato della frase latina di un sogno investe tutto se stesso e si mette a studiare latino, a sondare i misteri dell’universo attraverso l’astronomia per poi tenere lezioni metafisiche ai suoi compaesani. Poco importa se via via perderà la ricchezza materiale e l’affascinante moglie l’abbandonerà.

Anche l’avvocato convinto che il mondo sia basato solo sul calcolo dovrà ricredersi: scoprire di non poter contare i pesci del mare, né la proprie lacrime, è il risveglio dall’illusione che la realtà sia solo ciò che vedono i nostri occhi. È un altro aspetto del sogno.
Naturalmente non tutte le quattrocento anime cullano sogni ‘metafisici’. C’è chi ritorna nel suo piccolo villaggio sui Fiordi occidentali dopo sei anni di vagabondaggio per il mondo alla ricerca di qualcosa di più grande della ragazza che aveva lasciato. E invece la sua anima gemella era proprio lì accanto a lui. C’è chi si lascia sedurre dal vulcanico rissaiolo e decide di sposarlo, mettendo da parte le proprie aspirazioni da geologa. Chi si lascia prendere dalle immaginarie-ma-non-troppo presenze nel Magazzino in cui lavora, e che, come una cartina di tornasole, l’aiutano a gettare nuova luce sulla proprio quotidianità.

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Persino lo scorrere lineare del tempo viene spezzato: così si salta tra passato e presente secondo un incedere che pare più vicino a una visione della vita che a una precisa scelta narrativa. E per certi versi, poco importa che il romanzo sia di fatto ambientato nei primi anni duemila.

Infine, è vero che Stefánsson descrive una realtà che va scomparendo ma su questo non sarei così sicuro: oggi stiamo riscoprendo la bellezza e l’importanza del local, del piccolo, della comunità e del ritmo slow con tutti i suoi pregi e difetti. Esattamente come i protagonisti del libro. Ecco perché questo romanzo è come la stella polare: indica una direzione, una visione che forse va oltre gli intenti dell’autore. Ma i poeti sanno che la parola è sempre al di là del suono. Proprio come i sogni che ci rendono temerari.


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