Luci e ombre nel dialogo epistolare tra papa Francesco e Eugenio Scalfari

Creato il 19 settembre 2013 da Www.marsala.it @@il_volatore

Come ci si poteva aspettare, papa Francesco ha colto l’occasione di rispondere alle domande che il fondatore di Repubblica, Eugenio Scalfari, poneva dal suo giornale.

La novità è che questo è un papa che non ha paura di dialogare. Probabilmente dobbiamo andare ai vescovi di Roma dell’Alto Medioevo per trovarne di dialoganti. Per un cristiano, in particolare per una persona che ricopre un ministero, il dialogo con chi è diverso è fondamentale. Ecco perché Voci Protestanti aveva risposto a Scalfari già un mese fa, ricevendone una gradita risposta.

Corollario di questa novità è che il dialogo non pare fondato su interessi, su “valori” da difendere. Ricordiamo l’imbarazzante endorsement di papa Benedetto XVI a quello strano fenomeno italico degli atei devoti. Francesco mette al centro del dialogo Gesù. Questo è di cruciale importanza per un cristiano figlio della Riforma protestante.

Inoltre, Francesco afferma la necessità della chiesa nel percorso di fede con estrema delicatezza: non come un organizzazione cui sottostare, ma come la comunità dei credenti che, essendo in relazione con Cristo, possono parlartene.

La luce: Gesù e la fede

«Senza la Chiesa non avrei potuto incontrare Gesù», scrive Francesco. È vero che nel libro degli Atti, per fare un esempio, ci viene raccontato di un Paolo che, pur non conoscendo la chiesa, incontra Gesù. Ma è anche vero che la conoscenza di Gesù si completa nell’incontro con Anania e la chiesa in Damasco, ovvero con chi è già in relazione con Cristo. Certo, Francesco è un papa e tira acqua al suo mulino: è nella sua chiesa che si incontra Gesù, non in altre. Ma una cosa sono accortezza e puntualizzazione — che rende rispetto a chi stiamo leggendo —, altra è schermarsi con esse.

Francesco dice delle cose belle su Gesù e sulla fede:

«Risulta chiaro che la fede non è intransigente, ma cresce nella convivenza che rispetta l’altro. Il credente non è arrogante; al contrario, la verità lo fa umile, sapendo che, più che possederla noi, è essa che ci abbraccia e ci possiede. Lungi dall’irrigidirci, la sicurezza della fede ci mette in cammino, e rende possibile la testimonianza e il dialogo con tutti».

Altri passaggi importanti. L’Incarnazione di Cristo «cardine della fede cristiana», che mostra che essere cristiani non significa fuga dal mondo, ma stare nel mondo. La velata allusione, nel rapporto tra ebraismo e cristianesimo, alla Shoah — della serie: chi ha orecchi per intendere, intenda — e la sua risposta sulla questione della verità assoluta — «la verità è una relazione!» — analoga alla risposta che, in merito, avevamo dato su Voci Protestanti.

L’ombra: il rapporto con la Modernità

C’è però un punto oscuro, su cui Francesco non è riuscito a gettare luce: il rapporto con la modernità, con l’illuminismo, con la libertà di coscienza. Dice Francesco:

«Lungo i secoli della modernità, si è assistito a un paradosso: la fede cristiana, la cui novità e incidenza sulla vita dell’uomo sin dall’inizio sono state espresse proprio attraverso il simbolo della luce, è stata spesso bollata come il buio della superstizione che si oppone alla luce della ragione. Così tra la Chiesa e la cultura d’ispirazione cristiana, da una parte, e la cultura moderna d’impronta illuminista, dall’altra, si è giunti all’incomunicabilità. È venuto ormai il tempo, e il Vaticano II ne ha inaugurato appunto la stagione, di un dialogo aperto e senza preconcetti che riapra le porte per un serio e fecondo incontro.»

La chiesa — specificamente la chiesa cattolica romana — non è stata bollata come «buio della superstizione che si oppone alla luce della ragione». Lo è stata e in parte ancora lo è. Nei paesi dove si è affermata la Riforma, non c’è stato quel conflitto cui allude tra illuminismo e cristianesimo. Immanuel Kant era un cristiano e un illuminista. John Locke era un cristiano e un illuminista. Lo stesso dicasi per Jonathan Swift e per il ginevrino Jean-Jacques Rousseu.

La chiesa cattolica si è opposta invece alle istanze illuministe con una ostinazione del tutto aliena alla storia del primo cristianesimo. L’illuminismo ha portato nei paesi cattolici quelle istanze di libertà, dignità e diritti che il protestantesimo ha portato nel mondo anglosassone. Ovviamente, non era tutto oro e le contraddizioni c’erano da ogni parte.

Ma la chiesa cattolica si è chiusa, non accettando che venisse alcuna luce da fuori e, così facendo, anche se si considerava custode della Luce di Cristo, ha evitato che tale Luce illuminasse il mondo. Diceva Gesù: «Non si accende una lampada per metterla sotto un recipiente; anzi la si mette sul candeliere ed essa fa luce a tutti quelli che sono in casa.

Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, affinché vedano le vostre buone opere e glorifichino il Padre vostro che è nei cieli (Matteo 5,15-16)». Francesco parla appunto di un paradosso. Un paradosso che però non riesce a sciogliere.

E qui potrebbe avere bisogno dell’aiuto di chi è sopravvissuto grazie a quell’Illuminismo tanto osteggiato: ai protestanti, fratelli nella fede, ma ancora separati da nodi importanti cui Martin Lutero per coscienza non poteva rinunciare — e neanche noi, suoi e sue discendenti oggi.

La coscienza: un confronto tra Lutero e Francesco

A cosa Lutero non poteva rinunciare e perché? Alla Dieta di Worms del 1521 l’imperatore Carlo V gli chiese di ritrattare i suoi scritti. Il punto più controverso per la chiesa di Roma era la negazione che la chiesa — che pertanto diventava così una chiesa — fosse unica mediatrice del perdono di Dio in Cristo. Solus Christus, Sola Scriptura, Sola Fide: queste parole d’ordine del protestantesimo ben sintetizzano il “problema” di chi diceva Nulla salus extra ecclesiam — “Non c’è salvezza al di fuori della chiesa”. Lutero rispose così:

«Se non sarò convinto mediante le testimonianze della Scrittura e chiare motivazioni razionali — poiché non credo né al papa né ai concili da soli, essendo evidente che hanno spesso errato — io sono vinto dalla mia coscienza e prigioniero della parola di Dio a motivo dei passi della Sacra Scrittura che ho addotto. Perciò non posso né voglio ritrattarmi, poiché non è sicuro né salutare agire contro la propria coscienza. Dio mi aiuti. Amen».

Qui ci riallacciamo al punto più controverso della lettera di Francesco.

«Premesso che — ed è la cosa fondamentale — la misericordia di Dio non ha limiti se ci si rivolge a lui con cuore sincero e contrito, la questione per chi non crede in Dio sta nell’obbedire alla propria coscienza. Il peccato, anche per chi non ha la fede, c’è quando si va contro la coscienza. Ascoltare e obbedire ad essa significa, infatti, decidersi di fronte a ciò che viene percepito come bene o come male. E su questa decisione si gioca la bontà o la malvagità del nostro agire».

Riassumendo, chi non crede deve rendere conto non a Dio, ma alla propria coscienza, che saprà dirgli cosa è bene e cosa è male. Per chi si ispira a Lutero, primo testimone moderno della libertà di coscienza, questo è inaccettabile. Per un protestante la coscienza non è al di fuori del peccato, ma ne è soggetta, finché non è liberata dall’incontro con Dio.

La coscienza assume un valore importante nel pensiero protestante proprio perché la chiesa non detiene l’esclusiva della Luce di Cristo e ogni uomo e ogni donna può essere illuminato dallo Spirito Santo. Per un protestante il peccato è una condizione in cui si trovano tutti, credenti e non credenti, e Cristo è venuto a liberare tutti, credenti e non credenti, da questa condizione. Come poi ha scritto bene lo stesso Francesco:

«Gesù è risorto non per riportare il trionfo su chi l’ha rifiutato, ma per attestare che l’amore di Dio è più forte della morte, il perdono di Dio è più forte di ogni peccato, e che vale la pena spendere la propria vita, sino in fondo, per testimoniare questo immenso dono».

Un’incongruenza stonata in una lettera — quella di Francesco — che brilla di annuncio evangelico. Un’incongruenza data dal nodo non sciolto del rapporto con la modernità. Francesco lo sa e vogliamo credere vorrà provarci.

di Peter Ciaccio Pubblicato il 12 settembre 2013


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