Luci e ombre nell’insegnamento delle materie umanistiche: una riflessione e un’ipotesi di ricerca

Creato il 10 marzo 2013 da Criticaimpura @CriticaImpura

Vincenzo Foppa, Fanciullo che legge Cicerone (1464), Wallace Collection, Londra

Di LORENZA BONINU

Sono un’insegnante di lettere, come tanti altri: laureata in letteratura greca, docente ormai da trent’anni nei licei, momentaneamente prestata alla ricerca. Ho  sospeso il mio lavoro in classe per frequentare un dottorato in Sociologia.  Motivazioni? Il desiderio di comprendere cosa mi stesse accadendo, cosa stesse accadendo a quelli come me:  ma soprattutto di capire se, per caso, ci fosse una possibilità di salvaguardare la nostra funzione e le nostre motivazioni originali, sia pure adattandole ai cambiamenti disordinati e contraddittori che  la scuola italiana sta attraversando in questa fase confusa o se, al contrario, il nostro destino fosse ormai quello di rassegnarci ad un ruolo subalterno e, in ultima analisi, inutile e inefficace.

Sono partita da poche domande, quasi imbarazzanti nella loro (apparente) semplicità.  Che cosa insegnare? Perché insegnarlo? Soprattutto, quello che si insegna mantiene ancora oggi un senso intellegibile (nella duplice accezione di “significato” e di “direzione”)? Eppure, per quanto possano sembrare banali,  si tratta degli interrogativi che sempre più spesso mi capita di pormi nella mia quotidiana esperienza in classe: e so che non sono la sola. Addirittura ho l’impressione che proprio i docenti più giovani e più qualificati (fra SSIS, dottorati, master e quant’altro) siano quelli che più ansiosamente si mettono in discussione. Diciamo che noialtri professori di lettere (ma anche di storia, filosofia etc )  giochiamo da molti anni in difesa.  Non passa giorno che non dobbiamo giustificarci (con i nostri alunni,  con le loro famiglie, con i colleghi e, più in generale, con un sentire diffuso che quasi quasi ci contagia) davanti all’ accusa di “inutilità” rivolto al sapere cosiddetto “umanistico” – specialmente, ma non soltanto,  quando si incardini sullo studio di lingue “morte”- comunemente contrapposto alla cultura scientifica e tecnica,  considerata più attuale e produttiva, anche da un punto di vista, diciamo così, pragmatico. Troverà lavoro più facilmente un ingegnere o un filologo? Alla domanda è fin troppo semplice rispondere.

A questo proposito vorrei sgombrare subito il campo da un possibile equivoco. Centrale nella mia ricerca non è tanto rivendicare il valore, il significato o l’attualità della cultura umanistica rispetto agli odierni trionfi della scienza e della tecnologia: non si tratta di stabilire se le “due culture” siano più o meno compatibili, quali siano i loro possibili intrecci, e se sia prevedibile o auspicabile un riscatto della formazione umanistica rispetto all’utilità socialmente riconosciuta ed economicamente appetibile di studi d’altro tipo. Su tutto questo si fa fin troppa retorica e non c’è bisogno di convincere chi è già convinto di una tesi o di un’altra.  Si tratta, piuttosto, di prendere atto di un mutamento in parte già avvenuto (sono pochissimi i paesi europei nei quali si prevede uno spazio per le lingue e la cultura classiche nei curricoli obbligatori, mentre alla letteratura in genere si riserva comunque un ruolo via via sempre più marginale), in parte in fase di evidente accelerazione: e su questa base,  chiedersi con quali strumenti e quale consapevolezza i docenti delle discipline “incriminate” reagiscano alla situazione.

Si tratta di una questione a mio avviso non sufficientemente indagata. Non solo manca una riflessione organica (e, vorrei aggiungere, politicamente onesta) sulla relazione fra le trasformazioni in atto del sistema educativo e il modello di società che si vorrebbe promuovere; ma nemmeno ci si interroga a sufficienza sul ruolo che nel processo di cambiamento gioca il vissuto (ovvero la percezione di sé,  e, alternativamente, il fatto di sentirsi riconosciuti o disprezzati,  la frustrazione o la rivendicazione quasi donchisciottesca di una sorta di “missione impossibile” che i tempi comunque imporrebbero, etc.) degli insegnanti: raramente o mai ascoltati, a volte considerati quasi “eroi”, a volte pregiudizialmente accusati di incompetenza e pigrizia, di conservatorismo o di approssimazione.

Ecco il motivo del questionario/intervista che, utilizzando il mio blog (Contaminazioni.info) e la mia pagina facebook (Il laboratorio di Contaminazioni), sto proponendo all’attenzione dei colleghi (comunque con l’intenzione di allargare l’indagine coinvolgendo in un secondo momento anche gli studenti e i docenti di altre discipline) qualunque sia l’ordine di scuola nel quale in questo momento stiano prestando servizio. 

Esiste un gruppo di professionisti,  numericamente significativo,  culturalmente attrezzato, abituato a condividere e ad apprezzare una precisa gerarchia di conoscenze e formato per eseguire determinati compiti educativi con alcune specifiche finalità, al quale adesso si fa intendere in vario modo di essere non più adeguato, di essere uscito (o comunque di essere in procinto di uscire) “dal mercato”, se non sarà capace rapidamente di “riqualificare” le proprie competenze didattiche, pedagogiche, disciplinari secondo criteri molto spesso del tutto eterogenei rispetto alle proprie motivazioni di partenza e ai principi che avevano spinto a scegliere la carriera di insegnante, più specificatamente di insegnante “umanista”.

Analizzare le motivazioni e le conseguenze non strettamente individuali ma sociali del disagio inevitabile che questa situazione comporta mi è apparso un compito degno di qualche interesse, capace di gettare una luce diversa su alcune fra le dinamiche più profonde e meno conosciute della nostra scuola.

Per chi volesse partecipare alla mia indagine attualmente in corso, il questionario “Luci e ombre nell’insegnamento delle materie umanistiche” potrà essere reperito ai seguenti link. La scadenza è il 31 marzo.

Grazie a tutti coloro che interverranno compilando il modulo.

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Clicca qui per accedere al Questionario Online tramite Contaminazioni.info.

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