di Martina Vacca
Le politiche degli ultimi dieci anni sembrano aver ammortizzato la lieve decrescita nel corso del 2012, quando il PIL è aumentato appena dello 0,9%. E nonostante il Brasile resti tuttavia privo di conflitti etnici e culturali, restano le contraddizioni di uno dei Paesi con il più ampio gap tra povertà e prosperità; un Paese che presenta lacune nella presenza di infrastrutture, accompagnate da un sistema tributario confusionario, dalla mancanza di manodopera qualificata, controbilanciato però da una generale crescita dei consumi secondari.
Nonostante il generale calo degli investimenti, nel panorama latino-americano, il Gigante verde-oro ha sviluppato un livello di propensione tecnologica verso alcune fonti di energia rinnovabile di tutto rispetto. Grazie alle energie rinnovabili attivate, in Sud America sono stati prodotti 1.284.164 milioni di barili di petrolio l’anno. Il Brasile si è aggiudicato il primo posto di Paese produttore di energie rinnovabili tra le altre nazioni sudamericane, investendo significativamente, insieme ad Uruguay ed Argentina, sul biocarburante [2]. Il Brasile ha sostenuto alcune tra le più innovative iniziative private nel settore in questione grazie ai finanziamenti pubblici. Molte aziende italiane, tra cui l’ENDESA del gruppo ENEL – tanto per citare una tra le più note società nostrane presenti sul territorio brasiliano – ha stipulato un contratto energetico con lo Stato di Rio de Janeiro e con il consiglio municipale della città di Buzios per la creazione della prima “smart city” dell’America Latina. Buzios è divenuta quindi un centro all’avanguardia, che si avvale dell’illuminazione pubblica a LED, dove la generazione di corrente è distribuita da impianti fotovoltaici e aereogeneratori e dove non manca un’infrastruttura di mobilità elettrica per la “ricarica” di vetture e biciclette. Merita considerazione, inoltre, il progetto della comunità indigena brasiliana dei Makuxi, tribù della foresta pluviale, che conta circa 19.000 persone radicate nello stato del Roraima, concentrata sullo studio del potenziale eolico della propria zona, con un progetto sostenuto dal Consiglio Indigeno di Roraima, dall’Istituto Socio-ambientale e dall’Università di Maranhão. Il progetto prevede, innanzitutto, di sostituire i vecchi generatori diesel con fonti di energia rinnovabile, sfruttando le forti potenzialità del vento, a sfavore della costruzione delle dighe per lo sviluppo dell’energia idroelettrica prevista dal Governo. L’Amazzonia, infatti, è una foresta pluviale che riveste un ruolo fondamentale nella conservazione della biodiversità e nella generazione di corsi d’acqua: il disboscamento nei pressi delle dighe ha causato una diminuzione delle precipitazioni del 6-7% [3]. La Diga di Belo Monte, in costruzione presso il fiume Xingu in Brasile, terzo progetto per l’approvvigionamento elettrico più grande al mondo, ha causato un pesante impatto ambientale ed ha avuto conseguenze estremamente negative sulla vita delle comunità indigene in Amazzonia.
Fonti: Balanço Energético Nacional (BEN) e International Energy Agency (2011).
Spostando il focus, invece, sui grandi eventi di cui il Brasile si fa promotore per i prossimi anni, i Mondiali di calcio 2014 rappresenteranno, tra gli altri, una grande manifestazione all’insegna dello sviluppo sostenibile e un’altra fonte di potenziamento per l’economia. Gli stadi che accoglieranno le più importanti squadre di calcio del mondo sono stati infatti pensati ad alta efficienza energetica e disporranno di un sistema di raccolta delle acque piovane in grado di ridurre il carico idrico necessario all’irrigazione del campo. Tuttavia, mentre l’architettura urbanistica brillerà sotto le luci scintillanti dei Mondiali, la popolazione più disagiata resterà dietro i riflettori, quella parte di popolazione che è stata esclusa dalle vie di comunicazione preferenziali progettate per i turisti e quella che risente dell’abbattimento edilizio, attuato per far spazio alla costruzione di un fenomeno che è tipico dell’industria sportiva del sistema capitalista.
Infine, per quanto riguarda gli investimenti esteri diretti in Brasile, le numerose aziende europee che scelgono questa meta provano ad anticipare i futuri competitors per la produzione di energia alternativa – e non solo –, cercando di cogliere tempestivamente il vantaggio di investire in un Paese avente uno sterminato patrimonio di risorse naturali in direzione di una politica economica eco-sostenibile e nel perseguimento degli obiettivi promossi dalle Nazioni Unite sulla tutela ambientale e lo sradicamento della povertà.
Sono dunque molteplici le sfide che ancora attendono questa immensa (geograficamente e demograficamente parlando) nazione, la quale è chiamata a coniugare la realizzazione di grandi infrastrutture con la salvaguardia di un ambiente importante per l’intero pianeta, lo sviluppo dell’economia con l’obiettivo di inclusione delle fasce deboli e di una equa distribuzione della ricchezza e del benessere prodotti. Perché un Paese cresce non solo producendo ricchezza ma soprattutto quando, grazie proprio a tale ricchezza, è capace di migliorare la qualità della vita dei propri abitanti sul fronte dei diritti, del lavoro, della salute, dell’ambiente, senza mai perdere di vista questo obiettivo.
* Martina Vacca è Dottoressa in Scienze Internazionali e Diplomatiche presso l’Università di Bologna
[1] ICE: Brasile, Rapporto Congiunto – Ambasciate/Consolati/ENIT 2013
[2] Economy Commission for Latin America and the Caribbean (ECLAC): Brazil, Argentina and Colombia lead biofuel production in the Region
[3] Per approfondire: Instituto de Pesquisa Ambiental da Amazônia
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