Il giudice del foro di Trento gli ha così comminato il massimo della pena, in considerazione del rito abbreviato richiesto dallo stesso Ciccolini. Un esito che ha confortato i genitori della vittima, Maria Pia e Giuseppe, ed i fratelli Carlo ed Elisa pur nel dolore della consapevolezza che niente potrà riportare alla vita Lucia. La sera del delitto, la giovane fisioterapista fu colpita con quattro coltellate, di cui una mortale inferta al cuore. Il delitto si scoprì tuttavia solo tre giorni dopo, quando gli agenti arrestarono Ciccolini presso i bastioni Raggio di Sole a Verona, e lui confessò di aver occultato il corpo della ex nel bagagliaio della sua automobile, parcheggiata sotto casa della madre.
Una perizia psichiatrica condotta successivamente sul professionista escluse il vizio di mente, mentre in sede di giudizio è stata confermata la premeditazione, in quanto l’avvocato aveva dichiarato già in alcune lettere l’intenzione di assassinare la donna. Lucia Bellucci era reduce da un matrimonio finito e aveva cercato, dopo la fine della relazione con lo stesso Ciccolini, di rifarsi una vita accettando un lavoro come fisioterapista in una clinica estetica trentina. Aveva ormai anche un nuovo compagno, ma l’insistenza dell’avvocato nel pretendere un incontro chiarificatore l’ha portata a compiere un errore fatale: cedere alle sue insistenze e rivederlo.
Molto significative, dopo la sentenza, le parole di Giuseppe Bellucci: «Non abbiamo sentimenti di odio o di vendetta ma ci premeva una condanna esemplare che riabilitasse la figura di Lucia. In questi casi infatti si tenta di tutto per infangare la memoria della vittima». Sulla stessa linea di pensiero anche la madre: «Non lo odio per rispetto a mia figlia che l’ha amato, ma gli ho portato una foto di Lucia perché lei è sotto terra e lui deve restare in carcere e pregare per lei tutti i giorni».
Dopo essere rabbrividita alla notizia dei domiciliari concessi a Sganzerla, la giovane ha anche precisato che non verrà meno al proposito di lottare per tenere alta l’attenzione sul tema del femminicidio e per ricordarne le vittime. «Per loro, che non hanno più voce –ha commentato di recente la Roveri- non smetterò di far sentire la mia voce anche se, a differenza di quanto magari qualcuno può pensare, questa esposizione mediatica mi costa moltissimo. Mi costringe a ricordare continuamente e mi sta anche limitando nella possibilità di riprendere il mio lavoro, come avevo cominciato a fare».
Silvia Dal Maso
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