“Memorie intrusive” di Ilaria Celestini
TraccePerLaMeta Edizioni, 2014
Commento critico di LUCIANO DOMENIGHINI
E’ un atto di coraggio, di soccorso, di difesa, prima ancora che una silloge poetica la recente raccolta di Ilaria Celestini “Memorie intrusive”.
L’argomento trattato, l’abuso a sfondo sessuale, è insolito per un’opera di poesia e questo non tanto perché i poeti non affrontino, di tanto in tanto, qualche argomento scabroso e “scomodo” che si discosta dal repertorio da loro più frequentato, quanto perché i poeti tendono a trattare i temi prescelti partendo da un punto di vista egocentrico, centripeto, ponendo se stessi e il proprio vissuto al centro del mondo o, se vogliamo, al centro del problema.
Anche se uno spunto autobiografico compare, tuttavia, in quest’opera la prospettiva è estensiva, altruistica, universalizzante.
I mezzi letterari impiegati sono semplici assai:
si tratta di una prosa lirica “frammentata” in versi in modo spontaneo, istintivo e quasi casuale, senza preordinamenti strutturali di ordine retorico o metrico.
Nondimeno il dettato poetico ha grande limpidezza, spiccata valenza comunicativa e se a tratti cede all’enfasi sentimentale, procede costantemente sull’ala di una sensibilità, di una misura, di un gusto tutt’altro che ordinari.
Queste qualità di equilibrio e di grazia, d’altra parte, sono necessarie e irrinunciabili in quanto l’autrice, trattando il tema dell’abuso e, per esteso, di ogni forma di prevaricazione, condizione che si riduce sempre a una dinamica diretta, interpersonale, pone l’argomento, non già come ci si aspetterebbe, sempre in un aprioristico e deliberato atteggiamento di condanna e di deplorazione, ma, dimostrando grande coraggio e intelligenza, affrontandolo talora ( v. “Ci sono giorni”, “Finiscimi” oppure “Fino alla disperazione”) in un’ottica “borderline”, lungo quella linea di confine, ambigua e misteriosa, che sta tra vitalismo e incoscienza, affidamento e dipendenza, bisogno affettivo e degradazione, scelta, più o meno conscia, e destino.
Relativismo quindi? E quindi “comprensione”, “giustificazione” della violenza, come componente inevitabile della natura umana, come “mistero naturale” immanente e necessario?
No certo, perché a fare da spartiacque fra libertà e crimine, fra sessualità e abominio, Ilaria pone, sacro e irrinunciabile, riservato non solo all’infanzia ma a tutte le età della vita, il concetto di un amore integrale, generoso, inteso soprattutto come tutela della dignità della persona amata.
Quest’opera quindi non è solo un commosso e solidale tributo a tutte le vittime di ogni tipo di sopraffazione ma lo spirito che la sostiene e la alimenta è principalmente e profondamente etico invocando quel “buon senso” che fra tutti i sensi umani, se non appare come il più esaltante sovente risulta , in definitiva, quello più opportuno e prezioso.
Alla delicatezza eufemizzante, tutta femminile, talora floreale, talaltra sognante, che contrassegna la strofa conclusiva di alcune di queste liriche (v. “Questo cielo sommerso”, “Nascerà”, “Addio piccolo sogno”), alla sincera commozione e alla empatica condivisione del dolore, sovente si affiancano il coraggio e la speranza di riscatto e di rinascita, metafora della vita che non vuole finire, che non vuole arrendersi, che non vuole nascondersi e annullarsi nella vergogna e nella sconfitta.
I trenta titoli di questa raccolta sono in realtà un’unica, ininterrotta lirica, un discorso continuo sul bisogno d’amore, sulla sua forza ineluttabile, sui suoi martirii e sulle sue catarsi e trovano forse la loro sintesi e la loro realizzazione poetica più compiute nelle tre terzine, intense e struggenti, de’ “I miei ricordi”.
“Memorie intrusive”, questa a un tempo disinibita e serena elegia dell’innocenza tradita, al di là del suo valore strettamente letterario, è un’opera carica di tensione interiore, vera, autentica, che tocca il cuore.
Luciano Domenighini
Travagliato, 9 giugno 2014