Luciano gallino, il colpo di stato di banche e governi, einaudi, torino 2013

Creato il 18 marzo 2016 da Eurasia @eurasiarivista
:::: Aldo Braccio :::: 18 marzo, 2016 ::::  

Il titolo di questo saggio è parzialmente fuorviante, perché l’opposizione indicata dall’Autore fra “colpo di Stato” e “democrazia” – il sottotitolo recita appunto “l’attacco alla democrazia in Europa” – non rappresenta compiutamente la realtà di un sistema globalizzato capace di comprendere in sé e di superare ogni formulazione ideologica: in questo senso la “democrazia” occidentale risulta essere perfettamente funzionale al crescere dell’onnipotenza finanziaria, e non abbisogna affatto di colpi di Stato – di mortificazione del senso di Stato, semmai.
L’opera di Gallino fornisce un panorama esauriente e chiaro dell’origine e degli sviluppi della grande crisi del 2007 e anni seguenti, crisi purtroppo tutt’altro che felicemente risolta in quanto le sue cause persistono tutte: lo “sviluppo senza limite delle attività finanziarie, compendiantesi nella produzione di denaro fittizio” persiste, in altre parole “la creazione illimitata di denaro mediante il credito (che) ha invaso il mondo, rendendo del tutto impossibile stabilire quanto denaro sia in circolazione”.
Tale massa immensa di denaro/ricchezza – spesso costruita con pochi tocchi di computer – produce periodicamente un effetto-tsunami destinato a sommergere popoli e Stati: così allorchè ci siano buchi neri lasciati da speculatori privati sono proprio popoli e Stati a compensare con lacrime e sangue tali “perdite al gioco”, che di regola non fanno vittime fra gli speculatori.
“Il potere di creare denaro è uno dei poteri fondamentali di uno Stato – ricorda l’Autore – Averlo lasciato da lungo tempo per nove decimi alle banche private, e averne anzi favorito con ogni mezzo l’espansione, è un vizio che sta minando alla base l’economia mondiale. In secondo luogo, le banche creano denaro dal nulla con pochi tocchi sulla tastiera di un pc, ma poi da coloro che ricevono quel denaro in prestito – famiglie, imprese, lo Stato – pretendono sostanziosi interessi”.
Il quadro complessivo è mirabolante, ed è lungo l’elenco degli attori presenti sullo scenario della globalizzazione protagonisti dello strapotere finanziario: dalle Banche centrali quali Bce e Fed al Fondo Monetario Internazionale, dai conglomerati bancari (bank holding companies) agli investitori istituzionali quali fondi pensione, fondi di investimento e compagnie di assicurazione; e poi i fondi del mercato monetario, i fondi speculativi (hedge funds) e quelli detti sovrani perché il loro capitale è formato soprattutto da titoli di Stato; le società specializzate nel trattare titoli commerciali fondati sui crediti ipotecari e le tante fondazioni costituite su capitale finanziario.
L’Autore ricorda anche il ruolo svolto dai traders che manipolano trilioni di dollari/euri in continue transazioni finanziarie, dagli esperti nel confezionamento di micidiali titoli strutturati, dai legali che elaborano sofisticate “società di scopo” create dalle banche per portare fuori bilancio i crediti concessi e poterne così concederne altri, ampliando il giro della speculazione.
Gallino sottolinea giustamente la superficialità e la condiscendenza della grande informazione – non a caso anch’essa “globalizzata” – nei confronti dei cosiddetti mercati: “Un altro passo sulla strada che potrebbe ridurre i Parlamenti allo stato di elementi decorativi va visto nella diffusione della credenza per cui ‘bisogna obbedire ai mercati’, fatta propria da politici e governi dell’intera Ue, e riproposta ogni giorno dai media. (…) Al presente tale idea è diventata un’ossessione”.
Epicentro e propagatore della crisi è l’Occidente, da una parte e dall’altra dell’Atlantico: “nella Ue – titola un capitolo dell’opera – la crisi bancaria è trasformata in crisi dei bilanci pubblici” – l’imperativo essendo sempre quello di privatizzare gli utili e di socializzare le perdite.
L’Autore ricostruisce in particolare l’iter europeo di liberalizzazione della finanza a partire dal trattato istitutivo della Cee del 1957.
Si noti al proposito la differenza di tono e di sostanza fra questo trattato (all’art. 67) e il trattato sull’Unione europea del 1992 (all’art. 63); il primo recita: “Gli Stati membri sopprimono gradatamente fra loro, durante il periodo transitorio e nella misura necessaria al buon funzionamento del mercato comune, le restrizioni ai movimenti dei capitali appartenenti a persone residenti negli Stati membri”; il secondo sancisce: “Nell’ambito delle disposizioni previste dal presente capo (ndr: capo 4 Capitali e pagamenti) sono vietate tutte le restrizioni ai movimenti di capitali tra Stati membri, nonché tra Stati membri e Paesi terzi”.
Nei primo caso, il capitalismo finanziario ha posto le basi – il principio teorico – della globalizzazione finanziaria, nel secondo ne ha affermato – quantomeno in ambito occidentale – il suo completo trionfo.
Viene da chiedersi se i temi della globalizzazione economica, della finanziarizzazione dell’economia e della sovranità monetaria debbano essere riservati come si pretende a una ristretta ed esclusiva cerchia di economisti: l’esperienza di Luciano Gallino – recentemente scomparso – dimostra il contrario, trattandosi di un docente di sociologia.
L’imperversare di una schiera di economisti e di giornalisti economici allevati ai principii del turbocapitalismo – o alquanto tiepidi nella critica nei loro confronti – non può nascondere il fatto che globalizzazione economica, finanziarizzazione dell’economia e sovranità monetaria siano temi eminentemente politici, da trattare in un contesto ben più ampio di quello tecnico/specialistico economico e su cui la politica – alla ricerca del bene comune – dovrebbe decidere.

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