Lucrezia va all'Ordine dei giornalisti

Creato il 16 dicembre 2014 da Nonchiamatemiborgia @nonsonoBorgia
Sembra uno di quei titoli alla Pimpa, del tipo: La Pimpa va al mare, La Pimpa va a scuola, La Pimpa va dal dermatologo.

Una diapositiva della Pimpa versione sporty -  scaricata da fidelityhouse.eu


Sono passati 24 mesi dalla pubblicazione del mio primo articolo. Due anni di praticantato durante i quali, tra le varie, ho anche:-compiuto il quarto di secolo;-fatto in modo di evitare una sincope;-attivato nuovi progetti – lavorativi e di vita;-preso atto che non posso essere perfetta;-preso atto che gli altri non possono essere perfetti;-presp atto che lui non può essere perfetto;-decretato che la negatività altrui non merita di invadere la tua aura positiva.
Due anni. 24 mesi. Praticantato a base di articoli scritti in pausa pranzo e mail consultate continuamente. Di orari incastrati fino all’ultimo secondo.
Due anni. Un biennio in cui ogni tanto mi sono sentita persa, tanto che non ci credevo più. Capita no? Di non riconoscerci più, di far parte di situazioni non nostre, di ritrovarci in posti che stanno anni luce da quello che siamo stati e da quello che avremmo voluto essere. Di esserci trasformati in ciò che temevamo di più e che abbiamo sempre criticato. Capita, specialmente se passi un periodo in cui la tua vita - lavorativa ma anche quella personale – sembrano farti un bel dito medio. Ti convinci che nulla va bene, che il mondo è nero, e che non hai più vie di scampo.
Poi arrivano loro, quelli che ti conoscono. Quelli che si ricordano di te. Sono quelli che ti danno un calcio in culo – in senso lato -; in poche parole sono coloro che ti danno la spinta per continuare e non abbatterti. Perché se tu ti sei perso, non significa che loro non ti riconoscano più. Ecco, vorrei ringraziare chi mi ha dato il famoso calcio in culo, chi mi ha ricordato che tipo di persona fossi e dove minchia stavo andando. Mi ero fatta prendere dallo sconforto; io, che non mi sono mai arresa, io, che quando mi prefissavo un obiettivo non mi avrebbe potuto fermare nessuno.
Quindi: grazie, per avermi detto a chiare lettere che mi ero rammollita. Grazie, per avermi spiaccicato in faccia la realtà e, con uno specchio, mi avete mostrato cos’ero diventata. L’opposto di me stessa. È da lì che ho ripreso le redini dei miei progetti.
Detto questo, venerdì scorso ho portato all’Odg tutta la mia documentazione. Si attende, pertanto, che la commissione si ritiri per deliberare se sono degna di far parte della loro crew. Mi continua a balenare quest’insana idea secondo cui c’è questo gruppo di giornalisti che, vestiti con un saio in stile Silas de il Codice da Vinci, si riuniscono in una stanza buia – illuminata solamente da candele – e, dopo essersi seduti attorno ad un tavolo emettono la sentenza tipo Mara Maionchi: “Per me, è NO”. Tutto ciò mentre nella stanza risuonano canti gregoriani, per rendere la situazione ancora più profetica e solenne.
Augurandomi che i membri della commissione non leggano i miei deliri, aspettiamo il verdetto finale. Lo so, un tesserino di certo non mi aprirà le porte dorate del giornalismo, ma legittimerà ‘sti due anni di calvario.