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Ludovico Corrao, politico del dialogo interculturale e difensore dei più deboli

Creato il 12 agosto 2011 da Agueci

L’ultimo scritto di Ludovico Corrao è stato Il sogno Mediterraneo (1).

Avvertiva la drammaticità del processo federalista in corso, contrario allo sviluppo dell’Italia meridionale e al regionalismo sognato da Sturzo, fondato sulla solidarietà e una forte coscienza unitaria.

Un assassino confesso, Saiful Islam, 21 anni del Bangladesh, ha interrotto il suo sogno: da due anni era suo badante. Lo accompagnava nei suoi viaggi a Palermo, a presentare le manifestazioni della Fondazione Orestiadi di cui il “senatore”era presidente.

Ha troncato, con spietata violenza, un’esistenza che voleva e pensava ancora, nella sua Quarta età, una Sicilia dall’anima “plurale” con le sue “vocazioni, i suoi saperi, la sua identità, la sua cultura millenaria, come ha scritto Antonella Filippi (2).”Il suo sogno era quello di una Sicilia terra eterogenea, composta di elementi islamo-cristiani, satura dei suoi caratteristici aspetti contraddittori e per questo dal fascino irresistibile”.

L’ultima mostra, organizzata da Corrao, fu quella del 2 Luglio: “Le Matriarche, Sabo/BDS Moro”, dedicata a due autori autodidatti, senza cultura artistica. Ancora una volta la sua attenzione era rivolta a “Le condizioni marginali”, alle arti innovative degli artisti, schivati anche se eccellenti, mortificati da ignoranti cultori delle normative.

Alla ricostruzione di Gibellina, dopo il terremoto del ’68, aveva chiamato tutti, scrittori, sociologi, artisti, architetti, poeti, registi, famosi e meno noti, per costruire “assieme”, sulle macerie materiali del passato, la città del futuro Sud. Lo aveva fatto credendo nella cultura del dialogo, della rappresentatività, dell’arte, simbolo delle vicine Segesta e Selinunte, nella cultura mediterranea della pace, della solidarietà, della libertà dello spirito, dell’amicizia tra i popoli dei Sud del mondo.

Corrao, come Lazzati, aveva sognato una città per l’uomo, fondata sulla cultura, sull’educazione,

sulle “agorà” aperte all’arte, partendo da quella della ceramica, l’arte antica dei popoli mediterranei che aveva riportato a Gibellina.

Era stato sollecitato dalle ACLI di Michele Alcamo e da Gennaro Conte, i quali gli avevano ricordato la sua giovanile vocazione per i servizi sociali, unitamente alle proposte dei corsi di formazione per i disoccupati, per le innovazioni in agricoltura come nell’industria e nell’artigianato,

per creare le cooperative agricole e gli sportelli delle casse rurali, del credito cooperativistico.

Le strade della sua città le aveva volute disegnate dagli urbanisti più rinomati, larghe, senza più luoghi nascosti, come “agorà diffuse” nel contesto urbano cittadino, come luoghi di dialogo lungo i camminamenti della vita e non vicoli ciechi, cornice rifugio per attentati alla vita.

I pochi anziani, vegliardi della quarta età, ne avevano sofferto per gli attraversamenti, per i lunghi percorsi, per il verde da impiantare, per le panchine da installare, per le conversazioni e il riposo.

Ma i giovani vedevano gli spazi utili per i loro commerci, per le esposizioni dei nuovi prodotti agricoli: i meloni, i vini, le olive, l’olio, per i visitatori richiamati dalle manifestazioni artistiche, dagli spettacoli, dai convegni, nella città com’era stata pensata da Calvino, da Vittorini, da Cervellati, per riscoprire la verità dell’uomo, anche attraverso il suo cammino nella storia, come nelle tragedie greche e nelle commedie romane, rappresentate nei pressi del “cretto”, nel vicino Baglio Di Stefano, o nel teatro della vicina Segesta, nelle sue diversità e drammaticità come

nell’Orestea di Eschilo.

Ora quegli spazi ricorderanno il sindaco innamorato del futuro. Mancherà il sognatore indomabile e costruttore di politiche innovative, di testimonianza al limite della tradizione contadina, della cultura politica conservatrice, senza rischi, sulle frontiere di un avvenire difficile da costruire, come la Chiesa Madre della sua Gibellina, recentemente aperta al culto dal Vescovo di Mazara Del Vallo,

mons. Mogavero, ma quasi aperta al culto di tutte le religioni monoteiste.

E il suo Vescovo ha voluto ricordarlo come un “convinto protagonista del dialogo interculturale”, un grande siciliano, che ha scritto tante pagine della storia della Sicilia e dell’Italia, ma che ha amato soprattutto la valle del Belìce, sua patria adottiva, e in particolare Gibellina, che ha fatto risorgere dalle macerie del terribile terremoto del ’68. È una grande perdita per il mondo della cultura nel quale ha agito da protagonista indiscusso.

Avevo incontrato Ludovico Corrao, ventenne. Era venuto a comiziare a Giuliana, ed ero stato ad ascoltarlo nella piazza del centro storico del paese sicano di Federico II, tra cittadini attenti ai temi del separatismo, dell’autonomia regionale, alle prime battaglie della democrazia del dopoguerra, negli anni della guerra fredda tra le forze politiche.

Lo accompagnava Salvatore Contorno (futuro sindaco di Bisacquino), gli erano vicini, con Luciano Asaro, alcuni compagni di studio. Era stato tra i primi collaboratori delle ACLI di Trapani e della Sicilia, con La Barbera e, prima che lo sostituisse Benedetto Del Castillo, con Muccioli, Parrino, Adragna, A. Tomasino, Baruffaldi, D. Alessi, F. Russo.

Scoprivamo il valore delle autonomie locali, del decentramento istituzionale del paese, con le sperimentazioni di La Pira, alla luce dell’insegnamento di Luigi Sturzo, tornato dal lungo esilio; il suo era un invito a prendere parte alla politica, per la crescita economica, sociale e culturale dell’Isola.

Tra i suoi riferimenti di allora Dossetti e La Pira, Mattarella, G. Alessi, Corsaro, Aldisio, Milazzo, Sturzo.

E con Sturzo si opponeva al centralismo del partito cattolico che s’insinuava a Roma per contrastare il monocraticismo organizzativo delle sinistre.

Corrao era allora tra i promettenti quadri della Democrazia Cristiana e nel ’55 sarebbe stato eletto all’Assemblea Regionale, nella lista DC.

Poi, alla fine degli anni 50, la sua ribellione con Pignatone e Milazzo e il governo, breve e avventuroso, con il Partito comunista, la sua visita a Mosca, accolto da Krusciov.

Un’esperienza naufragata, anticipatrice di futuri rapporti nazionali, anche se nata sull’onda dei risentimenti, di un autonomismo esasperato e di una rivolta al centralismo partitico romano, primo leghismo del Sud.

Nel ’63 è stato, poi, eletto alla Camera dei deputati come indipendente di sinistra.

Le nostre strade si erano diversificate e nelle ACLI apprendevo del suo passato a servizio dei lavoratori dell’Isola, nei primi anni del dopoguerra, prima dell’impegno in politica.

Il terremoto del gennaio ’68 ci avrebbe trovati interessati alla solidarietà con i comuni distrutti o gravemente danneggiati, lungo le strade dissestate tra le macerie della Valle del Belìce, prima tra le rovine, poi nelle aule parlamentari, a sostenere le infrastrutture della ricostruzione e i centesimati finanziamenti per le abitazioni e i servizi.

Da vice presidente nazionale delle ACLI, con Michele Alcamo, Vincenzo Foti, Gennaro Conte e

Giuseppe Lombardo, cercammo di costruire, con l’Enaip e il Patronato ACLI, i capannoni per ospitare gli addetti sociali, punti di riferimento per i bisogni primari di quanti avevano perduto tutto nei paesi di Poggioreale, Gibellina, Salaparuta, Santa Margherita, Santa Ninfa, Gibellina, Partanna, Montevago, Menfi, Salemi, Roccamena e i comuni vicini e poi per la valorizzazione delle risorse agricole e turistiche locali, attraverso un forte impegno culturale e formativo al quale avrebbero dato un contributo notevole Luciano Messina e poi Fiordaliso.

Scegliemmo Castelvetrano come città esterna di “vettovagliamento formativo e sociale” per operare in tutta la valle del Belìce. Ci furono vicini, Giuseppe Lombardo, Domenico Crescente, Luciano Messina, l’architetto Pippo Romeo, Salvatore Oddo, Roberto Clementini, Salvuccio Mangiaracina, Gaspare Valenti e il fratello sacerdote senza più la chiesa, Vincenzo Foti, e Gaetano Parisi.

Ludovico Corrao, deputato alla Camera, aveva già attenzionato il suo impegno per Gibellina, la città da reinventare sulle indicazioni della letteratura e della storia delle arti.

La ricostruzione di Noto era un esempio dell’indomabile voglia di nuovo e della creatività dei siciliani, anche dopo le sventure per rinascere.

Il politico che aveva chiesto ad Alberto Burri di realizzare “Il Cretto”, quasi a seppellire, sotto un manto di “cemento bianco”, gli eventi calamitosi del terremoto del Belice del ’68, con le macerie della società povera e il lutto nero delle donne antiche, dagli affetti resistenti e dall’identità omertosa sulle malefatte della storia siciliana.

E agli artisti, Consagra, Pomodoro, Schifano, Paladino, Accardi, avrebbe offerto un Museo all’aperto e una Galleria spaziosa, tra le opere che restano a Gibellina, nel “Museo delle Trame mediterranee”, con i quadri di Dalì, la stella di Consagra, Schifano, a ricordare il valore della cultura per costruire un’identità veramente umana, fondata sulla creatività dello spirito, sulla mediterraneità della civiltà occidentale.

E nella vicina Salemi, negli ultimi anni della sua vita, era arrivato un emulo, ribelle e fantasioso, Vittorio Sgarbi che sindaco, come Corrao, poneva l’arte e la cultura a fondamento della migliore identità siciliana e del Sud.

Per anni, a Gibellina, prima dell’ultimazione della chiesa madre, progettata avveniristicamente da Ludovico Quaroni e Maria Luisa Anversa, aperta dal vescovo di Mazara del Vallo, mons. Domenico Mogavero, Corrao aveva sollecitato i fedeli cristiani, chiamati alla preghiera da

suoni di altre religioni lontane.

Una chiesa, quella di Quaroni, che reggeva il Mondo, impresa difficile della storia del Cristianesimo, doveva testimoniare il lento cammino dell’umanità, prima di incontrare, nella Chiesa, il Dio vero.

Quando con i responsabili del ministero dei LL.PP. e della Commisione interparlamentare per la ricostruzione delle città del Belìce, visitammo la chiesa in costruzione, tememmo per la sua fragilità costruttiva, per l’ardimento degli architetti e fummo facili profeti, come sempre chi non osa.

Corrao aveva osato per tutta la vita, nell’azionepolitica e culturale, nella DC e nell’USCS, all’Assemblea Regionale siciliana nel ‘55 e poi alla Camera nel ’63 nelle liste del PCI, come indipendente di sinistra, nel ’68, nel collegio di Alcamo.

Per venti anni è stato sindaco di Gibellina, fino agli anni ottanta, sognatore e visionario come la sua ultima creatura, la Fondazione Orestiadi, nella quale troverà il suo ultimo riferimento terreno.

Lui avvocato, legale di parte civile di Franca Viola, la prima donna che si ribella all’omertà e ai condizionamenti del matrimonio riparatore, che si pasce del silenzio e della cultura che ha fatto qualvolta violenza alle donne.

E il giovane dell’azione cattolica del primo dopoguerra, del primo organizzatore delle gloriose ACLI della Sicilia, da un cammino politico travagliato, da un consenso raccolto inventivo, sofferto, dossettiano, tra principi e valori evangelici e ideologie politiche condizionanti, ha percorso tutte le tappe del travaglio politico dei cattolici impegnati in politica, sempre alla ricerca di sperimentazioni, di cieli e terre nuove, (fu coinventore, protagonista della nascita e della liquidazione dell’Unione Siciliana Cristiano Sociale).

Corrao ha vissuto tutto il dramma della gioventù cattolica del dopoguerra: l’adesione alla DC,

l’impegno nei servizi e nei movimenti sociali (ACLI, CISL, Confcooperative, Casse rurali..), la

partecipazione alla mediazione culturale per lo Statuto della regione Siciliana e la Costituzione

del Paese, il coraggio della scelta occidentale per la democrazia e le istituzioni sopranazionali, la graduale sperimentata collaborazione con le forze politiche socialiste e della sinistra per liberarle dalle ostili ipoteche ideologiche e condurle, con i rischi connessi, alla politica solidaristica per l’interesse del Paese e delle sue aree svantaggiate e sempre rischiando, laicamente, con responsabilità assunte personalmente.

Ferdinando Russo

[email protected]

1) L. Corrao, “Il sogno mediterraneo”, 2010.

2) D. Mogavero, dichiarazione alla stampa trapanese e riportata da S. Agueci in www.facebook.com alla voce Ferdinando Russo.

3) A. Filippi, “Corrao e il suo sogno irrealizzato: il Mediterraneo, terra di pace” in Il Giornale di Sicilia, 8 Agosto.

4) M. D’Anna, “Il suo sogno? Unire le anime del Mediterraneo” in La Sicilia, 8 agosto.


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