"Lugo, due sillabe" di PIERLUIGI PANZA

Creato il 05 giugno 2015 da Caffeletterariolugo
Pierluigi Panza è stato ospite del Caffè Letterario di Lugo venerdì 10 aprile 2015 per presentare il suo romanzo "L’inventore della dimenticanza” edito da Bompiani.
Lugo, due sillabe; la lingua che batte in alto sul palato per subito precipitare. Lugo, che si è scordato una “o” per essere un luogo a tutto tondo e che si è scordato una “enne” per diventare lungo come un serpentello di pianura. Lugo go, vai: qualcosa che è più di quanto ti aspetti e che ha sempre un quasi che gli manca per fare il tutto. Lugo, la più rampante tra le città piatte della pianura, piatta piatta si innalza sempre orgogliosa: la rocca un po’ più in alto della piazza, la stele di Baracca, come un obelisco, le fiamme che s’innalzano per avvolgere Relencini. S’innalza la piatta Lugo con un sempre a suo modo, un quasi, un come, un orgoglioso rovescio. Dà alla Ferrari il cavallino rampante, però è disegnato al contrario; ha una forte rocca estense, che finisce al papa e non serve a difendere; è il paese di Rossini, che però non si ferma qui a suonare; è il paese di Andrea Relencini, bruciato sul rogo per la fede protestante, ma la lapide gliela fa un massone. E’ Olindo Guerrini, che lavorava per un giornale chiamato “Il matto”, naturalmente. C’è una benefica vena di follia che attraversa Lugo ad ogni età, dal rogo al palazzone, dall’Inquisizione all’urbanistica che costruisce un mostro civico per chiudere un lato del Paviglione. Lugo ti senti a casa e di passaggio insieme. A casa ti fanno i cittadini che ti osservano; di passaggio le vie lunghe che paiono consigliarti di camminare svelto. Lugo: mi fermo davanti alla cappelleria inglese, dove la città diventa museo, dove la vetrina espone la traccia di quello che siamo stati. Lugo: mi fermo un po’ più in là, all’ingresso di piazza della Repubblica, la galleria con i negozi anni Settanta già chiusi, la traccia putrefatta di ciò che è stato un passare di qua. Nel palazzo osservo i quadri che ritraggono Rossini, con la sua mano nel corpetto scuro. Un gesto, un simbolo: è massone pure lui? Che l’anticlericalismo qui, per segretezza, si sia spinto sino a diventare un clericalismo inverso? Vista dall’alto, la piazza ha un solo segno non geometricamente collocato: l’edicola d’angolo. Salviamo, salviamola subito che presto sarà come il cappellaio inglese che è come il cappellaio matto, che è come “Il Matto” tra i giornali… che i giornali sono anche loro, oggi, messi al rogo, come chi critica è messo al rogo, come chi pensa, come chi ripensa, come chi dissente... Anche come chi finge. E qui c’è anche la finzione: la casa finto rinascimento sull’angolo della strada, con un clipeo del povero Mengoni, l’architetto che dalla galleria di Milano si buttò per paura di cadere.
Ecco, Lugo è resistente: prima Relencini; poi, al balcone, Garibaldi; poi la Resistenza… “Di quella pira”, mi vien da dire; ma è il compositore sbagliato. Meglio pensare a quando Rossini lasciava Wagner a bocca aperta dicendogli: “Pardon monsieur, ma ho sul fuoco una lombata di capriolo. Deve essere innaffiata di continuo”. Lugo, tutto stipato in due sillabe: la “g” di goliardia, la “l” di libertà.
di Pierluigi Panza

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