Lui, lei... e io!

Da Suster
Lei e lui ora dormono, insieme, sullo stesso grande letto. Materasso ortopedico, rete con doghe in legno... mica robetta! (Ci abbiamo messo nove anni, eh, partendo dalla piazza singola condivisa, ma infine abbiamo assemblato un Signor Letto!).
Lui ussa forte, si sente anche da dietro la porta chiusa. Lei russa pure, un poco, e ci va di tosse a momenti. Lui col suo peso fa almeno sei volte lei, ma lei non si fa intimidire, a suon di calci e pedate ben piazzate, si conquista la sua meritata porzione di materasso, relegandolo nell'estremo limbo marginale, laddove lenzuola e coperte finiscono per scoprire porzioni considerevoli di membra, perennemente desiderose di calore.
Lui mi ha detto: "La posso addormentare io, la bambola?"
Io ho lasciato fare, imponendomi un atteggiamento possibilista e genitorialmente equilibrato.
Il fatto è che lo sapevo, in realtà, che non sarebbe stata cosa.
Però li lascio, chiudo l'uscio, raccolgo da terra pupazzi sparsi, sollevo la coperta-tappeto e la piego via, metto a posto libri cartonati ed enormi rilegati illustrati con copertina rigida, mentre sento di là un chicchericcio intermittente, risate soffocate e brandelli di parole non si sa bene in che lingua: "Naso dibabbo!" "Buia!" "Babb..ahahahaha! Buia!" -interferenza- "Pinocchiooo".
Poi un cellulare che suona e una manina che bussa alla porta piano. Allora entro in scena.
Va be', mi trattengo (lo sapevo): "Hasuna la vuoi togliere la suoneria al cellulare se devi addormentarla?"
Comunque mi unisco a loro, sul lettone, e dieci minuti dopo, a furia di "Pinocchi", dormono entrambi.
Lo so che forse a volte dovrei lasciare che lui provi, senza intervenire alla prima difficoltà, ma è infinitamente più facile subentrare con la prassi collaudata, che lasciare terreno a nuove sperimentazioni.
Sì che li apprezzo i suoi slanci di paternità improvvisi e i suoi sforzi per essere più presente.
Ma mi rendo anche conto che in questi quasi due anni ho dovuto imparare a gestire quasi da sola quel mondo, la nanna, la pappa, i risvegli, i giochi, e che adesso inserire il terzo elemento attivo nel nostro tandem sarà un'operazione lunga e delicata.
Però non dispero: a poco a poco, si fa.
E non nego le mie responsabilità: è vero, troppo spesso sbrigarmela da sola è stato più pratico che riuscire a coinvolgerlo come avrei voluto nell'amministrazione delle faccende genitoriali, mediare senza cadere nella polemica, chiedere aiuto senza recriminare, comunicare nozioni senza dare l'impressione di dover impartire una lezione, senza far sentire comunque la mia ingombrante presenza.
Magari se dall'altra parte avessi avvertito una maggior disponibilità all'ascolto, una maggior attenzione a quelle che io ritenevo tappe importanti (ci vieni al corso pre-parto? All'incontro con le maestre? Ai giardini? Ma che. Lui sa già tutto: figuriamoci! Guarda che io ho cresciuto i miei fratelli piccoli, qui vi fate tante seghe mentali e che ci vuole a crescere un bambino?)...
La verità è che ci sono stati giorni, momenti in cui avrei avuto bisogno che fossimo in due, e non l'ho trovato. E ci sono stati momenti in cui mi sarebbe piaciuto che ci fosse anche lui, e lui non c'era, se non fisicamente, di certo con la testa non era lì. E poi ci sono stati momenti in cui ho capito che ce la potevo fare, anche accontentandomi del suo contributo minimo, e allora ho fatto da sola, e andava bene anche così: la cosa ha avuto i suoi lati positivi, niente discussioni sul come e sul perchè.
E poi c'era una cosa che mi faceva incazzare: che la colpa era sempre mia. Se lui non era abbastanza presente, era perché io non lo coinvolgevo abbastanza. Se sua figlia non lo cercava era perché la mia presenza era totalizzante. Se non partecipava alle faccende pratiche di gestione pupesca, era perché io ero troppo attaccata alla bambina e non gli lasciavo fare niente.
Gli amici senza nulla sapere della nostra vita domestica e vedendolo baloccare la pupa per dieci minuti in loro presenza, avanzavano sempre questi argomenti e non si spiegavano come io non volessi ammettere che fosse un "padre eccezionale".
Ecco, forse c'è anche questo subdolo argomento che generalmente viene utilizzato per giustificare un certo tipo di disinteresse paterno, con l'aggravante di generare (oltre al mazzo che una si fa) il senso di colpa materno.
No, no e poi no: mi ribello.
Che ognuno si prenda le proprie responsabilità. Se tu non ci sei abbastanza la colpa non è certo mia. Io ho dovuto imparare a sopravvivere, mio caro, e non posso sobbarcarmi anche il peso della tua genitorialità inespressa.
Ecco. Così press'a poco è stato il nostro approccio ai ruoli genitoriali. Molto scoraggiante.
Tutt'altro che moderno (cosa ti aspettavi da uno che viene da un Pese deve le donne girano a capo coperto? Eh, te la sei cercata!)
Ma poi è vero che lui a un certo punto si è accorto che si stava perdendo qualcosa, e che, malgrado le proteste, non poteva certo dare la colpa a me, né tantomeno... a lei!
Qualcosa è cambiato.
Tornato a casa dopo una lunga assenza si è sentito "tagliato fuori".
Si è lamentato: l'ho mandato a cagare.
E poi l'ho sentito parlare con alcuni nostri amici, e fare sua una frase che era stata mia (quale gaudio!), rivolta a lui, quando si era lamentato dell'assenza di rapporto con sua figlia (non mi vede da più di un mese e invece di salutarmi mi manda via!), e ammettere con quella frase tante cose: "Stiamo iniziando a costruire un rapporto. Dobbiamo lavorarci".
Allora ho capito che ci teneva. Allora ho capito che mi ascoltava (Hasuna, ma non puoi pretendere che un rapporto nasca dal nulla: ci devi lavorare. Un rapporto va costruito!), e soprattutto ho capito che voleva provarci.
E l'ho visto provarci.
Mi tengo un po' in disparte, per quanto ancora la tentazione di intervenire spesso ci sia, e ancora ogni tanto ci casco ("Aspetta, vuole questo" "No, devi fare così").
Ma è bello vedere come inizino a ritagliarsi momenti per loro due: quando lei, la sera, lo cerca, va da lui, che mangia, gli siede sulle ginocchia, aspettando di ricevere qualche boccone dal suo piatto, di quella cena "da adulti" (lei ha mangiato già da qualche ora, perchè il padre continua a rincasare piuttosto tardino da lavoro), e poi guardano insieme la tv "della Libia", e cantano la canzone della Libia nella lingua "di babbo".
Quando sente l'esigenza di tradurre le parole: "Balena! ...Huta!" e di puntualizzare poi:"dice babbo".
Quando vuole mangiare il pollo impugnando il cosciotto con le mani, dall'osso, "come babbo" senza farselo sminuzzare nel piatto.
Quando quel mattino si è svegliata alle cinque dopo una notte tormentata (l'avevo messa a letto prima che il padre tornasse, perché era molto stanca) e quando lo ha visto, che dormiva lì accanto mi ha sorpreso con una serie di entusiastici: "C'è Babbo! Babbo! Bello bellittimo! Ha'vitto? C'è babbo! Bellittimo babbo! Bellittimo!" e ha iniziato a stuzzicarlo (naso di babbo...) finché non è riuscita a svegliare anche lui. Di dormire non se n'è parlato più, ma credo che per lui sia stato un bellissimo risveglio, anzi: "Bellittimo!"
Quando li ho seguiti dalla terrazza fare il giro della casa, giù nel giardino, piegati a guardare insetti e raccogliere rametti e sassolini che "sembravano tatta'ughe" o "lucettole", lui che fischia come un merlo e che conosce e comprende la natura perché sa osservarla e ha la pazienza di farlo, non certo perché l'abbia studiata sui libri, che certo saprà spiegargliela meglio di quanto non sappia fare io, che le insegno i nomi del glicine e della gazza, della cornacchia e dell'alloro...
E così, stupita, lo vedo tornare a casa sempre un po' prima, sperando di trovarla ancora sveglia, e quando posso, cerco di farmi da parte.

(Anche Zorro vuole partecipare al rapporto padre-figlia!)
Questo post partecipa al blogstorming

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