Luigi Pirandello: Quando Tutto Va Umoristicamente Bene

Creato il 27 novembre 2012 da Dietrolequinte @DlqMagazine

Voglio credere che il suo teatro non cesserà mai di pugnalare l’anima di noi spettatori bisognosi di un’inconscia agnizione ogni volta che ci sediamo su una poltrona, ignari di assistere allo spettacolo della nostra vita (o, se non la nostra, almeno quella di chi ci è seduto a fianco), per poi rialzarci con quella sensazione di vuoto e di smarrimento, il buio dei lanternini spenti. Voglio sperarlo perché la mia non celata venerazione per Pirandello, quasi ossessiva quanto la ridondanza delle sue riflessioni, mi porta a meravigliarmi sempre, di fronte a un dramma sgorgato dalla sua penna, come se davvero vedessi certe cose per la prima volta, con un’ingenua e fine sensibilità umoristica. Ed è bello sentirsi un po’ forestieri della vita, poi, finalmente capaci di guardare tutto da lontano, con distaccata superiorità. Tutto per bene, scritto apposta da Luigi Pirandello per l’attore Ruggero Ruggeri, venne rappresentato per la prima volta al Teatro Quirino di Roma il 2 maggio 1920, dopo successi quali Il piacere dell’onestà e Il gioco delle parti. Un dramma impregnato di melanconia, frustrazione, sensi di colpa latenti, il tutto all’insegna di immancabili scontri dentro un intricato nucleo familiare, i cui sfuggenti legami di parentela sono l’emblema di una dissoluzione in atto tendente allo “strappo” nel cielo di carta di un mondo fittizio.

Gabriele Lavia è riuscito a incarnare in modo magistrale una doppia energia creatrice: lucido e razionale regista da una parte, fragile e vulnerabile uomo sentimentale dall’altra, per un suggestivo effetto di geometrica perfezione scossa dai singulti di un cuore ferito. Martino Lori è il classico “borghese piccolo piccolo”, un’anima in pena, agli occhi degli altri, che ancora non ha superato la morte dell’adorata moglie, perso nell’inconsistenza di gesti ripetitivi, come la quotidiana visita al cimitero, evidentemente incapace di intendere ciò che capita intorno a lui, e, per questo, disprezzato, escluso da tutti, alienato all’interno della sua stessa casa. Maltrattato dal genero, il marchese Flavio Gualdi (Woody Neri), ignorato dalla figlia Palma (Lucia Lavia), succube ombra del luminoso senatore Salvo Manfroni (Gianni De Lellis), Lori raggiunge poco a poco la consapevolezza di essere stato ingannato per anni da un ben architettato gioco delle parti, in cui egli stesso, volente o nolente innamorato-accecato, si è ritrovato a rivestire molteplici maschere, diventando la cavia di una tortura psicologica al limite tra il sadismo e il masochismo: «Tutto rovesciato; sottosopra. Sì. Il mondo che ti si ripresenta tutt’a un tratto nuovo, come non ti eri mai neppure sognato di poterlo vedere. Apro gli occhi adesso!».

Impeccabile la scenografia: nel macabro proscenio, una lapide su cui troneggia l’enorme statua della defunta Silvia Agliani, mentre il resto del palco è occupato da un pavimento a scacchiera che sembra dirigere da sé i movimenti simmetrici dei personaggi; grandi divani bianchi su cui la figura umana quasi perde consistenza volumetrica, porte che continuamente si aprono su luoghi separati da tutto ciò che accade sulla scena, ignoti contenitori di azioni che si perdono nel nulla; e, costante, la presenza più o meno invadente del temporale. I personaggi si muovono attorno a Lori come alfieri tirannici, cavalli impazziti, pedoni disumani. È tutto ferocemente stilizzato, tutto violentato nell’essenza stessa dei rapporti umani: laddove la freddezza degli altri impedisce il manifestarsi di un sentimento puro, il protagonista vive senza timore il proprio dramma, all’inizio ancora non in grado di “vedersi vivere”, e quindi soggetto agli sguardi cinici e impietosi di chi lo giudica eccessivo e ostinato. Tradito, ferito nel più profondo strato della sua intimità, Lori alla fine non può e non vuole nemmeno più ricorrere all’arma della vendetta, preferendo la caduta libera in una non-vita lontana tanto da quella precedentemente costruita e distrutta quanto da quella che spererebbe di riedificare, basandola sulle sempre rischiose e vane apparenze di un’amara illusione che sembra far andare “tutto per bene”.

Per le immagini si ringrazia il Teatro Stabile di Torino – Fotografie di Serafino Amato

Tutto per bene

di Luigi Pirandello

Regia: Gabriele Lavia – Scene: Alessandro Camera – Costumi: Andrea Viotti – Musiche: Giordano Corapi – Luci: Giovanni Santolamazza

con Gabriele Lavia, Gianni De Lellis, Lucia Lavia, Woody Neri, Daniela Poggi, Riccardo Bocci, Dajana Roncione, Giorgio Crisafi, Riccardo Monitillo e la danzatrice Alessandra Cristiani

Produzione: Teatro di Roma

Torino, Teatro Carignano, dal 20 novembre al 2 dicembre 2012


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