Luigi Testaferrata, L’Altissimo

Da Paolorossi

Il ritorno in Versilia mi ha purificato la testa, mi ha alleggerito il sangue come se avessi subito un completa trasfusione.

Monte Altissimo in una foto del 1907 tratta da “Versilia duemila anni di marmo” Il Tirreno

Vedo il celeste, il grigio, l’azzurro, il bianco violento dell’Altissimo: mi ridico che è il monte più bello del mondo. E penso che sia il più bello perché ha la castità della creatura nata all’improvviso dal mare, una specie di pezzo di mare coaugolato in roccia e rizzato di colpo in una posizione verticale tra la terra e il cielo, e perché porta i segni di una sofferenza lunga nelle spaccature, nelle fenditure profonde che lo interrompono in tutti i punti, nelle chiare linee orizzontali  che tendono ad abbassarlo e che sono le strade fatte dagli uomini, i sentieri dei cavatori pazienti, impazienti, tenaci, arrabbiati, violenti, che l’hanno sfruttato per secoli, che gli hanno tolto brandelli di marmo con la tristezza degli innamorati che si sentivano costretti, dalla fame e dalla miseria, a distruggerlo.

 L’Altissimo è il monte amoroso, il monte che si regala agli altri.

( Luigi Testaferrata, da “L’Altissimo e le rose”, 1980 )

Il gruppo del Monte Altissimo

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