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Luino (VA): presentata la mostra sulle foibe con il ricordo di Norma Cossetto

Creato il 22 marzo 2014 da Stivalepensante @StivalePensante

E’ stata presentata ieri mattina la mostra sulle foibe voluta fortemente dal Comune di Luino in collaborazione con la Provincia di Varese e con l’Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia. Presente alla conferenza, al Palazzo Verbania, un nutrito gruppo di studenti del Liceo Scientifico “Vittorio Sereni”, che ha ascoltato le parole di Giacomo Fortuna, Segretario del Comitato di Varese.

Da sinistra: Giacomo Fortuna, Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia, Alessandro Franzetti, consigliere comunale, ed Andrea Pellicini, sindaco di Luino

Da sinistra: Giacomo Fortuna, Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia, Alessandro Franzetti, consigliere comunale, ed Andrea Pellicini, sindaco di Luino

Un’interessante mostra fotografica quella che è stata presentata ieri mattina al Palazzo Verbania di Luino: “il ricordo delle foibe”, un tema che per lungo tempo non è stato affrontato dalle istituzioni e non è stato ricordato doverosamente ai cittadini. Alessandro Franzetti, Consigliere con delega ai rapporti con le Associazioni Culturali, e Andrea Pellicini, sindaco di Luino, hanno fatto gli onori di casa. “Abbiamo tenuto molto, come amministrazione comunale – spiega Franzetti -, ad organizzare questa mostra perché riteniamo che il dramma delle foibe debba essere ricordato, soprattuto con voi (ndr gli studenti) che siete la futura classe dirigente del paese, una delle parti migliori della nostra società.” I pannelli fotografici, presenti all’interno della mostra, delineano un quadro storico di quanto avvenuto sia durante la tragedia delle foibe, sia durante il corso dei secoli. Ripercorrendo le varie epoche, sin dal Medioevo, le fotografie portano alla luce i tanti aspetti che hanno caratterizzato tutta la zona della Venezia Giulia. Particolare attenzione, ovviamente, viene data alla spiegazione nel dettaglio alla tragedia delle foibe, a partire da quel fatidico 8 settembre 1943, giorno dell’armistizio.

Questa manifestazione si inserisce in un quadro di celebrazioni ricorrenti, per il Comune di Luino, che tutto devono essere, tranne che un semplice “ricordo”. Dalla storia, infatti, gli studenti, ma non solo, devono imparare ciò che è stato e fare in modo che atrocità come queste non accadano più. “Poco tempo fa – spiega il sindaco Pellicini -, grazie al presidente della Biblioteca di Luino, professor Rossi, abbiamo celebrato la Giornata della Memoria, ricordando la tragedia della shoah. Oggi ricordiamo, invece, i martiri delle foibe e coloro che dal 1943 in avanti furono costretti ad abbandonare le bellissime terre dell’Istria, della Dalmazia e della Venezia Giulia perché furono cacciati dagli slavi che avevano occupato il loro territorio.”

Alcuni pannelli della mostra fotografica dedicata alle Foibe

Alcuni pannelli della mostra fotografica dedicata alle Foibe

Ma è l’intervento di Giacomo Fortuna ad attrarre l’attenzione degli studenti. Dopo i ringraziamenti rivolti a “Luino che, da sempre, è ed è stata vicina alla tragedia delle foibe e dell’esodo”, il Segretario del Comitato di Varese dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia racconta ai ragazzi la storia delle foibe. “E’ da pochi decenni che si è iniziato a parlare delle foibe, con la fine della guerra fredda nei primi anni ’90, quando l’interesse dei mass media è iniziato a maturare e sono partite le prime ricerche storiche. Il fenomeno dei massacri delle foibe è da inquadrare nell’ambito della secolare disputa fra italiani e popoli slavi per il possesso delle terre dell’Adriatico orientale, nelle lotte fra i diversi popoli che vivevano in quell’area e nelle grandi ondate epurative jugoslave del dopoguerra, che colpirono centinaia di migliaia di persone in un paese nel quale, con il crollo della dittatura fascista, andava imponendosi quella di stampo filo-sovietico, con mire sui territori di diversi paesi confinanti.”

“Quelli delle foibe, sono episodi – prosegue Fortuna – che si hanno in mente quando si parla della fine della seconda guerra mondiale. La memoria collettiva si collega alla liberazione e ai giorni che vedono la fine di questa guerra nelle nostre regioni italiane: abbiamo racconti che sono di festa, con i carro armati e con le jeep degli anglo-americani o dei partigiani che passavano nelle città e regalavano cioccolata, gomme da masticare e sigarette, mentre la popolazione sventolava il tricolore per festeggiare la pace. Ciò accadeva in tutte le regioni di Italia, tranne nelle zone nord-orientali del paese: a Trieste, Gorizia, Monfalcone e in tutta l’Istria la guerra non era finita. Lì, infatti, stava andando avanti. Nella Venezia Giulia Tito, anticipando gli anglosassoni, pensò di occupare per primo i territori, gli edifici e Trieste. Questa mobilitazione verso l’occupazione della zona più vicina al confine è stata definita come ‘Corsa per Trieste’. Pochi giorni dopo l’occupazione, a Trieste c’erano già dei cartelli che obbligavano a spostare l’ora degli orologi un’ora indietro per uniformarla all’ora di Belgrado. C’era un controllo totale, che voleva dare un segnale importante verso l’indipendenza di uno stato nuovo. Da questo momento in poi inizia la seconda ondata di violenza, seguita dalla prima che si era verificata in Istria e in Dalmazia dopo l’8 settembre del 1943, quando i primi partigiani jugoslavi incominciarono una serie di esecuzioni sommarie verso la popolazione italiana. Dal 1945, invece, la violenza con cui le truppe di Tito attaccavano i cittadini italiani si intensificò. Sui muri delle città si trovavano scritte che inneggiavano a Tito, Stalin e al comunismo. Fu anche smantellata l’effige del Leone di San Marco per cancellare quella che era l’identità della storia italiana. Perquisizioni, fermi ed arresti. I cittadini italiani che uscivano di casa sparivano, non tornavano più la sera, al mattino, a qualsiasi orario. Alcuni di questi erano collaboratori del nazi-fascismo, ma c’era anche degli anti-fascisti del CNL, c’erano comunisti e tutti coloro che potevano rappresentare una sorta di forma di potere, civile o militare, dello Stato italiano. Tutti colori che avevano l’uniforme, come un postino, veniva eliminato. Soldati, carabinieri, poliziotti, finanzieri, ma poi c’erano anche tantissimi cittadini italiani che venivano trucidati. L’obiettivo di Tito, appunto, era quello di eliminare l’italianità di questo territorio. Le persone che sparivano o andavano nei campi di concentramento, o venivano infoibati.”

Una foto di Norma Cossetto

Una foto di Norma Cossetto

Infine al segretario Fortuna premeva portare a conoscenza degli studenti la storia della studentessa ventitreenne Norma Cossetto, gettata nella foiba di Villa Surani nella notte tra il 4 ed il 5 ottobre 1943. “Norma Cossetto è nata nel 1920, diplomata nel 1939 era una studentessa dell’Università di Padova. Alternava lo studio al lavoro, impiegata all’interno delle scuole di Parenzo e di Pisino, due paesini dell’Istria. Il padre, Giuseppe Cossetto, era un dirigente locale del Partito Nazionale Fascista: ricoprì a lungo l’incarico di segretario politico del Fascio locale e di commissario governativo delle Casse Rurali. La famiglia Cossetto iniziò a ricevere minacce di vario genere finché il 25 settembre successivo un gruppo di partigiani jugoslavi e italiani razziò l’abitazione dei Cossetto e, il giorno successivo, Norma fu convocata presso il comando partigiano dove la studentessa fu invitata ad entrare nel movimento partigiano, ma essa oppose un netto rifiuto di rinnegare la sua adesione al fascismo, dopodiché uno dei guardiani cui venne consegnata decise di rilasciarla. L’indomani, però, Norma Cossetto fu arrestata e condotta all’ex caserma della Guardia di Finanza di Parenzo insieme ad altri parenti, conoscenti e amici. Qui fu raggiunta dalla sorella Lidia che tentò inutilmente di ottenerne il rilascio. Qualche giorno più tardi Visinada fu occupata dai tedeschi, cosa che spinse i partigiani a effettuare un trasporto notturno dei detenuti presso la scuola di Antignana, adattata a carcere. In tale luogo Norma Cossetto fu tenuta separata dagli altri prigionieri. e sottoposta a sevizie e stupri dai suoi carcerieri, che abusarono di lei mentre veniva tenuta legata su di un tavolo. L’episodio della violenza carnale fu poi riferito da una donna abitante davanti l’ex caserma, che, attirata da gemiti e lamenti, appena buio osò avvicinarsi alle imposte socchiuse vedendo Norma legata al tavolo. La notte tra il 4 e 5 ottobre tutti i prigionieri legati con fili di ferro furono condotti a forza a piedi fino a Villa Surani. Lì, ancora vivi, furono gettati in una foiba li presente. Le tre donne presenti nel gruppo subirono nuovamente violenze sessuali sul posto prima di essere gettate a loro volta nella foiba.”

Presenti in sala anche la sezione degli Alpini di Luino con il loro vessillo e Margherita Borri, nonna di Giacomo Fortuna, scampata alle foibe, che ha assistito alla conferenza in prima fila.

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