Isabella Santacroce, Luminal
ed. Feltrinelli, 7€
Ma bando alle ciance, Luminal di Isabella Santacroce è un libro apprezzabile, di sicuro, ovviamente dipende dalla prospettiva in cui si guarda alla storia.
Ad esempio, se l'immagine di due ragazzine pallide ed emaciate vestite di lattex nero, sedute sul pavimento di un bagno, che si tagliano le vene a vicenda e poi fanno sguazzare allegri coniglietti rosa di peluche nelle rispettive pozze di sangue vi esalta, allora questo libro fa per voi. Altrimenti, farete bene a giare al largo.
Ma andiamo per gradi: la prosa di Isabella Santacroce è, quantomeno in questo libro, difficilmente leggibile, è quello che definirei un modo di scrivere ostile al lettore. Sembra proprio che il messaggio che emerge dal suo scritto sia "se vuoi fare lo sforzo di capire cosa sto scrivendo bene, altrimenti cazzi tuoi". Certo, l'incomprensibile può anche essere stimolante. O comunque portatore di significato. Mi spiego meglio: Luminal parla, appunto di due ragazze che fanno uso di questa sostanza (ho fatto le mie indagini: è un anticonvulsivo e calmante, come una benzodiazepina ma molto più potente) e quindi mi balena il dubbio che questa scrittura così confusa che propone di volta in volta immagini sempre più evanescenti e poco chiare voglia "far provare" al lettore la sensazione del Luminal. Sì lo so, l'ho buttata lì.
Questa mia debolissima ipotesi crolla se facciamo entrare in ballo anche gli altri romanzi di Isabella Santacroce: il linguaggio, le immagini, le atmosfere utilizzate in Luminal - così come in buona parte degli altri romanzi - sono un po' ripetitive. I bagni pubblici, i bagni privati, il sangue, l'urina e lo sperma, le paperelle di gomma, i falli di gomma, il sesso consenziente e non, la gente strana, allucinata - c'è una che colleziona sopracciglia..- lasciano la vaga sensazione che non ci è stato detto nulla, in realtà.
Lungi da me insinuare che Luminal sia un romanzo privo di contenuti, sia chiaro. Ho trovato dei passaggi davvero belli e poetici - soprattutto i capitoli in cui la protagonista parla dei suoi ricordi - tuttavia mi chiedo se questi bei contenuti non siano stati impacchettati in modo un po' troppo costruito.
Insomma, un conto è lo stile personale dell' autore che va sempre rispettato, un altro è riuscire a parlare solo - saper parlare solo?- di un ristrettissimo numero di situazioni.
Personalmente mi sono avvicinata ai libri di Isabella Santacroce perchè le atmosfere che mi erano state descritte da chi già conosceva i suoi libri mi avevano intrigato e non poco e, to be honest, i primi due libri che ho letto li ho trovati abbastanza gradevoli - soprattutto Revolver, che ho adorato -, ma arrivata al terzo libro il fatto di ritrovarmi davanti l'ennesima ragazzina sbandata che la dà via come se non fosse sua (citazione del mio gentile consorte, ma lui parlava delle dottoresse del Seattle Grace Hospital) mi fa un po' storcere il naso. Se non altro perchè questa sbandataggine sembra del tutto fine a se stessa.
Solo in rarissimi momenti il modo di essere dei personaggi appare giustificato da motivazioni profonde, come ad esempio in questo passaggio che ho trovato davvero bello, ben costruito e ispirato, nonostante non si discosti dalle solite tematiche santacrociane:
"La TV accesa rovesciava il mondo quella mattina fuori pioveva e io contavo le vene dei miei polsi posandoci sopra spilli premevo per godere dell'apparizione di piccole perle rosse nate-da-succhiare insaporivo la lingua colorandola e così insistevo nella piacevole tortura scoprendomi abile nel gesto sceglievo quelle più spesse e scure in prossimità del palmo incurante delle linee della vita e delle altre mi deliziavo trafiggendomi con cromati aghi che lasciavo verticali infilati per metà dentro come bandierine sulla luna. Fuori pioveva e la TV accesa rovesciava il mondo sul mio polso metallico teso verso il soffitto eroico e mestruo che rigava l'interno del braccio sinistro disegnando nuove vene esterne. Posando in penombra scattai Polaroid per la mia collezione di autolesioni, poi presi il profumo di mia madre e lasciai cadere dentro le gocce di sangue migliori sicura che il vetro blu avrebbe nascosto il mio segreto l'agitai sdraiandomi sul soffice del suo letto a due piazze immaginai il momento dell'uso della fresca fragranza floreale e immaginai il suo collo bagnato di me passeggiare baciato da amanti e immaginai i suoi seni masturbandomi mi alzai toccando la finestra guardai fuori due cani montarsi mentre milligrammi di incoscienza svanivano lasciandomi intravedere l'imperfezione della mia esistenza piansi e chiamai le tenebre."
Isabella Santacroce, Luminal Milano 2008, ed. Feltrinelli, pag. 15
Senza dubbio un buon prodotto del marketing editoriale che concilia le necessità del dover vendere con un lavoro passabile che solo in alcuni punti raggiunge picchi davvero belli.
Resta solo un interrogativo: è facile costruire una storia "nera", strana, allucinata, parlando di tutte le cose più (moralmente) deplorabili del mondo ma cosa ne sarebbe dei personaggi di Isabella Santacroce senza i loro sex toys, il loro esibito autolesionismo, i loro tacchi a spillo e i loro rossetti sbavati?