Lunedì film – Un borghese piccolo piccolo – Mario Monicelli

Da Iomemestessa

Con questo film, e col post che uscirà venerdì per il venerdì del libro, l’intento è quadrare il cerchio col molto che ci siamo detti in questi giorni.

Una premessa essenziale. Mario Monicelli è stato prolificissimo regista. In 75 anni di attività (dal 1935 al 2010, non è un refuso) ha fatto film straordinari e oggettive boiate. Quantunque, perfino le boiate, se comparate a certe opere di pretesi geni, acquistano una loro propria dignità.

Monicelli ha una vena poetica crudele. In cui la sua biografia gioca, possibilmente, un ruolo. Ma soprattutto, ed è ciò che a mio vedere lo rende grande, non è mai consolatorio. E neppure banale.

Un borghese piccolo, piccolo può essere pienamente ascritto a questa accezione. Anzi, la amplifica, in ragione di uno straordinario Alberto Sordi.

Sordi, per molti, moltissimi di noi, è l’arcitaliano, un po’ perecottaro. Qui si misura con un ruolo che, soprattutto nella seconda metà, diventa di pura tragedia.

Giovanni Vivaldi, impiegato al ministero, e la moglie Amalia (una notevole Shelley Winters) ripongono ogni speranza nel figlio Mario (Vincenzo Crocitti, che sarà poi un abile caratteristica e che lì imbrocca, con quella faccia un po’ così, il ruolo della vita). Un mediocre, Mario, che con notevoli sforzi i genitori sono riusciti ad issare al titolo di ragioniere. Sono gli anni di piombo, i tempi sono cupi. L’ossessione di Giovanni è ‘sistemare’ Mario in un ufficio qualunque di un ministero qualunque, e non c’è compromesso che non sia disposto ad accettare pur di raggiungere lo scopo. Anche la massoneria diventa strumento per raggiungere lo scopo prefisso.

Ma il giorno del concorso che dovrebbe sancire il compiersi degli sforzi di Giovanni (più ancora che di quelli di Mario), un proiettile vagante, nel corso di una rapina uccide Mario e con lui le riposte speranze di Giovanni ed Amalia.

Il mite, accomodante Giovanni si trasformerà in un giustiziere, e quando finalmente la polizia scoprirà l’assassino fingerà di non riconoscerlo per portare avanti la propria spietata vendetta. Che si compirà con l’uccisione dell’assassino, dopo lunga serie di sevizie.

E’ un film durissimo, crudele, una vera e propria discesa agli inferi, la dissezione del dolore più grande. Un’autopsia della sofferenza che si rivedrà solo (sebbene declinata in altro modo) nella Stanza del figlio di Moretti e in Todo sobre mi madre di Almodovar.

Ma quel che qui ci preme e ne fa film della settimana con un significato che va oltre il film stesso è anche l’atto d’accusa spietato che Monicelli serve alla piccola borghesia italiana, quella stessa che avrebbe dovuto dare linfa a questo Paese ed è stata invece la causa di molti dei nostri attuali mali.

E la pochezza della classe politica con cui ci confrontiamo quotidianamente, nasce lì. E’ stata la forma mentis dei borghesi piccoli piccoli, protesi a perpetuare i loro piccoli, piccoli privilegi che ha dato linfa e nutrito tutto quel ciarpame che quotidianamente ci tocca subire. I Razzi e gli Scilipoti, sono figli di quel clientelismo e di quel modo di pensare. Li abbiamo creati noi, non si sono creati da soli.

Il tutto, viene potentemente riassunto in una frase di Giovanni che, al di là della vicenda in se stessa, ben si può considerare il fulcro del film:

« Pensa a te, Mario, pensa solo a te! Ricordati che in questo mondo basta fare sì con gli occhi e no con la testa, che c’è sempre uno pronto che ti pugnala nella schiena. D’altronde io e tua madre siamo soddisfatti: abbiamo un figlio ragioniere, che vogliamo di più? Per noi gli altri non esistono. Tu ormai sei sistemato, noi siamo vecchi: non c’abbiamo altre ambizioni. Tutto quello che vogliamo è morire in pace, con la coscienza a posto. »

Per noi, invece, gli altri esistono. Eccome.


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