Lungo le acque del tempo

Creato il 22 agosto 2014 da Rivista Fralerighe @RivFralerighe

Il viaggio nel tempo è una delle tematiche più sfruttate della letteratura fantastica. A breve o lungo termine che sia, nel passato o nel futuro, le storie dei crononauti continuano ad affascinare. Verrebbe da chiedersi il motivo.

La macchina del tempo

Prendiamo la trama più sdoganata fra tutte: un uomo moderno viaggia nel tempo fino a un’epoca lontana. C’è chi ricorderà Uno Yankee alla corte di Re Artù di Mark Twain, il viaggio a ritroso fino a un contesto più mitico che storico, chi La macchina del tempo di H.G. Wells, verso un remoto futuro dove gli uomini hanno perso ciò che li caratterizzava come tali. Naturalmente gli esempi abbondano. Il ciclo di  Hyperion di Dan Simmons gioca continuamente con i salti temporali e i paradossi. Il romanzo La fine dell’Eternità di Isaac Asimov pone un esistenza regolatrice dell’intero flusso temporale, dal quale vengono manualmente escluse le imperfezioni.

Dunque se il tempo di per sé è sempre al centro, differente sembra essere il motivo che c’è dietro.

Il tempo è particolare. Non lo percepiamo in maniera univoca, ci sembra quasi che sia soggetto a interpretazione personale: così va più rapido quando siamo allegri e più lento nella noia. Ci sembra, in un certo, senso, di poterlo dominare. E qui ritroviamo gran parte della letteratura in merito. La macchina del tempo di Wells non è altro che una moderna Argo, una nave sacrilega che per prima solca gli oceani del tempo, una nave che dunque imbriglia i secoli e permette al suo timoniere di attraversare acque mai solcate in precedenza. E l’Eterno di Asimov è forse la personificazione di questo potere: ha il tempo fra le mani e può decidere cosa e come succederà. Ogni evento, ogni esistenza, esiste poiché esiste nel tempo.

E allora è forse questo il primo punto. Non riusciamo a immaginare la vita stessa senza il tempo. Una storia deve avere un movimento al suo interno, e non esiste se non attraverso il tempo. Diceva Lucrezio: Nessuno può avvertire il tempo di per sé, avulso dal moto e dalla placida quiete delle cose. Sembra dunque che sia un rapporto simbiotico. L’uno è necessario all’altro per esistere, per essere percepito. Ed è così in Hyperion. Il tempo, i suoi viaggi, i suoi paradossi, servono a giustificare la realtà presente. Non c’è futuro e passato, un prima e un dopo nettamente divisi. Vi sono solo eventi che s’intrecciano fra di loro attraverso il tempo, e lo solcano in un senso o in un altro.

Ma più di tutto, il tempo ci permette di osservare l’uomo moderno trasfigurato in un altro volto. Ci permette di cogliere le differenze e le costanti dell’umanità attraverso i secoli, e così il viaggio nel passato mette a confronto due realtà, l’uomo che era un tempo e l’uomo che è diventato, quasi fosse stata la stessa persona in un dantesco everyman.

Difficilmente in questo confronto l’uomo moderno vince. È dal contatto con l’io del passato che riscopre un ventaglio di valori dimenticati e diventa un uomo nuovo.

In questa trasfigurazione prende piede anche uno fra gli stimoli più grandi dell’uomo: la curiosità. Ecco che l’esplorazione del passato e del futuro diviene un’estensione temporale di ciò che già è stato fatto nello spazio. Come ci dice Wells nel suo romanzo: «Suppongo che il suicida mentre appoggia alla tempia la canna della pistola provi per ciò che succederà l’attimo seguente quello che in quel momento provai io: un sentimento di curiosità.»

Maurizio Vicedomini



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