Trama: Lupin e Jigen cercano di rubare la "Piccola Cometa" ma il colpo va male e, peggio ancora, i due si ritrovano alle calcagna l'infallibile killer Jael Okuzaki, un assassino che prepara la lapide ai suoi bersagli ancora prima di ucciderli...
C'è stato un tempo in cui ogni iniziativa legata a Lupin & co. mi faceva fare i salti di gioia, un tempo in cui una notizia simile mi avrebbe portata a ringraziare la Madonna dell'Incoronéta e non a bestemmiare come uno scaricatore di porto. Purtroppo, quel tempo è finito e la colpa è interamente di Takeshi Koike e della meravigliosa quarta serie dedicata al Ladro Gentiluomo, Fujiko Mine to iu onna (in Italia, Una donna chiamata Fujiko Mine); quell'azzardatissimo mix di vintage, kitsch, surreale ed animazione per adulti mi ha folgorata e ha riportato in auge quello che, a mio avviso, dev'essere il VERO Lupin, quello che aveva creato Monkey Punch negli anni '70 e il cui spirito era rimasto inalterato nella prima, storica e censuratissima serie. Da quel momento il mio cuore ha mandato al diavolo i crossover con il Detective Conan, I'm a Superhero, le bischerate di Zenigata, il character design per otaku bimbiminkia e, più in generale, ogni tentativo di rendere il personaggio appetibile per il pubblico giovane: dopo Fujiko Mine to iu onna potevo apprezzare solo qualcosa di altrettanto sfacciato ed epico (d'altronde ho anche 33 anni, che cavolo!!) e la perfezione mi è stata servita su un piatto d'argento con Lupin the IIIrd: Jigen Daisuke no bohyou. La ciliegina sulla torta di questo piccolo capolavoro dell'animazione nipponica è ovviamente il fatto che Jigen sia il protagonista quasi assoluto e che gli altri personaggi fungano da degni comprimari senza rubargli la scena ma se anche il mediometraggio si fosse concentrato solo su Lupin sarebbe stato comunque un gioiello. A differenza di altri film dedicati a Lupin, infatti, Jigen Daisuke no bohyou riesce a rendere tridimensionali i personaggi grazie a pochi dettagli e a concentrarsi su una trama ben precisa e coerente senza deviazioni né riempitivi e soprattutto senza scendere a compromessi. Pensate un po', per tutto il film non si vedono né Goemon né Zenigata (che compare per pochissimo sul finale) perché, obiettivamente, non avrebbero avuto alcuna funzione e anche perché il samurai all'epoca dei fatti narrati non aveva nessun contatto con Jigen e Lupin; inoltre, sul finale, i due protagonisti giustificano le loro azioni dichiarandosi rispettivamente ladro e pistolero, "non eroi", prendendo così le distanze dalle rivisitazioni più recenti del dinamico duo e preferendo fumarsi una sigaretta piuttosto che godere della riconoscenza altrui.
Trama a parte, che è un compendio di tutti i cliché Jigeniani che tanto amo (avversario infallibile e crudele, amore sfortunato per una donna bellissima, intelligente e misteriosa, assoluto carisma da lupo solitario) con l'aggiunta di qualche particolare weird per rendere il tutto più disturbante e misterioso, che erano poi le caratteristiche della prima serie, quello che adoro di Jigen Daisuke no bohyou è il character design di Takeshi Koike, che rende i personaggi bellissimi, affascinanti e quanto più vicini possibile al concept originale di Monkey Punch. Jigen è superlativo e ad ogni comparsa la mia manina scattava in automatico sul pulsante "pausa" per contemplare almeno un paio di minuti l'incredibile perfezione del personaggio, ma persino Lupin e Zenigata sono due figaccioni ben lontani dai mostri deformi a cui siamo abituati, per non parlare poi della pettorutissima Fujiko. La signorina Mine, tra l'altro, è protagonista di una sequenza weirdissima che mescola suggestioni da Eyes Wide Shut, Tetsuo e nazisploitation senza vergogna alcuna, come se fosse la cosa più naturale del mondo, come se il MOIGE in Giappone fosse (giustamente!!) un'entità astratta da prendere a sputi ed insulti. Non sono le uniche citazioni che vengono amorevolmente portate su schermo da una regia fluida, attenta ai particolari, ai giochi di luce ed ombra e ai colori (tra i quali prevalgono le tonalità scure, come testimoniano le inedite mise di Lupin, in camicia nera e giacca blu, e Jigen, in camicia bordeaux e giacca color ottanio) ma sicuramente sono quelle che saltano più all'occhio assieme all'omaggio post-credits allo storico Lupin III: La pietra della saggezza. Ad impreziosire ancor più quello che per me è ormai il terzo film di Lupin più bello di sempre ci sono dei titoli di testa e di coda meravigliosi, accompagnati da una colonna sonora fatta di pochi brani d'atmosfera che starebbero benissimo in un noir e un paio di finezze sparse qui e là (sulla lapide di Jigen si vede che è nato ad Aprile, shigatsu in giapponese, laddove shi sta anche ad indicare la morte). Avrete capito che sono rimasta folgorata e ora mi scuserete se concludo qui il post e vado a riguardare Jigen Daisuke no bohyou nell'attesa che una divinità buona renda al più presto disponibili non dico in Italia ma almeno in Europa i blu-ray o i DVD del film e di Una donna chiamata Fujiko Mine per poterli degnamente inserire nella mia collezione di preziosi cimeli.
Takeshi Koike è il regista della pellicola, oltre che character designer e direttore dell'animazione sia di questo film che della serie Una donna chiamata Fujiko Mine. Come regista, ha diretto anche un segmento di Animatrix e un episodio della serie Iron Man. Ha 46 anni.
Se Lupin the IIIrd: Jigen Daisuke no bohyou vi fosse piaciuto cercate assolutamente di recuperare la serie Una donna chiamata Fujiko Mine e Lupin III: La pietra della saggezza (possibilmente il tutto in lingua originale e senza censure, chevvelodicoaffare). ENJOY!