Lurido, meraviglioso Messico...

Creato il 21 gennaio 2011 da Omar
Voglio la testa di Garcia, tratto da un soggetto originale di Frank Kowalski, mantiene una sua unicità nel corpus dell'immenso cineasta statunitense Sam Peckinpah: a torto considerato dalla critica un'opera minore, questo film datato 1974, sicuramente vessato da alcune innegabili lacune di script (sono leggendari i deliqui maniaco-depressivi del regista durante le riprese), sviluppa alcune tendenze che nelle precedenti opere del regista erano ancora in utero. Prima fra tutte la rimodulazione della funzione del personaggio femminile. Raramente gli eroi di Peckinpah si abbandonavano tra braccia muliebri senza tentennamenti, o senza brutalità. Qui Elita, entraineuse di bassa estrazione, diventa fulcro della vicenda trasformando il concetto stesso di Amore in quello di «unico luogo che l'abiezione del mondo non può intaccare». Poi c'è lo sguardo clinico verso la miseria dei villaggi messicani che i protagonisti della storia attraversano, il quale si fa presto epitome di quello universale diventando - metaforicamente - faccia capovolta dello sviluppo tecnologico moderno. Ma soprattutto Garcia ci consegna una «poetica dell'eccesso» ormai finalmente matura: il regista ci accompagna con questa pellicola dritti dritti all'inferno, nel Messico più mucido e dissoluto, in un incrocio, diseguale e rapsodico, tra la ballata macabra e il road-movie (naturalmente, trattandosi di Peckinpah, condendo il tutto in salsa western). La storia ha inizio quando un potente signorotto del luogo decide di mettere un'enorme taglia sulla testa di Alfredo Garcia, avventuriero bohemienne reo di avergli ingravidato la giovane figlia. Sulle tracce di Garcia si getta una organizzazione criminale pronta a commettere le efferatezze più cruente pur di mettere le mani sulla grossa taglia. Nella vicenda viene coinvolto anche un disilluso pianista senza una lira, un Warren Oates davvero spaziale (attore-feticcio di «Bloody Sam»: Oates da caratterista perenne - e compagno di sbronze del regista! - viene qui finalmente promosso primo attore: memorabili i suoi dialoghi con la testa custodita in un sacco fetido e cosparso di mosche). Anche lui, soggiogato dalla sete d'rricchimento facile, si butterà a rotta di collo nell'inseguimento. Rivalutato negli ultimi anni, Voglio la testa di Garcia è sicuramente uno dei film più autentici e sinceri di Peckinpah. Sebbene la prima parte risulti un po' tirata, soffocata da una lentezza prossima al torpore, il film si riscatta notevolmente nel finale, in un climax irresistibile di ultra-violenza e disperata bellezza. I ralenti esasperati delle sparatorie, il montaggio serratissimo e la ricerca spasmodica di una «morte gloriosa» (come nell'inimitabile fine di Wild Bunch), l'attenzione per il lato oscuro della Frontiera e la riflessione sul tradimento sono tutti elementi fondanti della scoppiettante forza espressiva insita nella visione di Peckinpah, elementi che hanno marchiato a fuoco generazioni di cineasti posteriori (da Scorsese a Tarantino). Girato in piena libertà e senza il fiato sul collo dei produttori, Peckinpah ebbe a dire di questa pellicola: «buono o cattivo, bello o brutto, è come lo volevo io»

Potrebbero interessarti anche :

Possono interessarti anche questi articoli :