Ieri e' stato reso pubblico il prossimo destino del Senator: non leggero' mai piu' le notizie d'economia allo stesso modo, ora che so sulla mia pelle cosa c'e' nella vita reale dietro ad un annuncio di una nuova carica lavorativa.
Andare via da qui per me significa perdere una dimensione che mi ha reso felice ogni giorno da quando sono arrivata. Qui, dopo gli anni di Bruxelles, Pavia e Ginevra in cui viaggiavo costantemente per compensare la mancanza di amicizie, di stimoli intellettuali, di impegni professionali, sono tornata a essere felice pienamente, non ho dovuto esercitare virtuosismi da mezzopienismo. Avessi avuto pure i miei genitori vicino, sarebbe stato tutto perfetto, ma gia' cosi' e' stato un periodo della mia vita incredibilmente piacevole, interessante, ricco, ogni giorno.
Vecchie amiche e nuove amiche. E con tutte ci capiamo al volo, sempre.
Tempo per conoscere, per scoprire, per divertirmi.
Un ambiente urbano accogliente e stimolante per le mie bambine.
Tanti servizi per alleggerire le mie fatiche quotidiane.
Spazi di tempo sola con il Senator.
Ho ritrovato la mia identita': ora sono piu' grande,sono sposata, sono madre, finalmente pero' la mia vita qui corriponde all'evoluzione della vita che amavo, dieci anni prima quando ho lasciato Torino subito dopo la laurea.
Nel momento in cui si e' affacciata la possibilita' di un cambiamento lavorativo che avrebbe significato perdere questo mio nuovo mondo, ho scoperto su me stessa come esista un sentimento, Expat Grief, lutto da espatrio, che a leggerlo sembra un'esagerazione, ma a viverlo non e' per nulla semplice.
E non e' solo perdere il mio mondo attuale, la mia dimensione all'interno di questo mondo.
E' anche sapere che questo mondo andra' avanti senza di me, che questi giorni in cui non saro' qui. La citta' continuera' a crescere, i figli delle mie amiche continueranno a crescere, le mie amiche continueranno a vivere la loro vita, e io non saro' qui a condividere tutto questo e nulla, nemmeno le vacanze, nemmeno tornare a vivere qui tra qualche tempo, potra' ridarmi questo imminente futuro che non vivro' qui.
Nulla puo' ridare alle mie bimbe tutti i giorni che non hanno visto i nonni in questi quattro anni, anche se grande gioia e' stata nei giorni in cui li hanno visti.
Nulla puo' ridare a me e al Senator tutti i giorni in cui in nove anni che stiamo insieme, siamo stati distanti. Nulla puo' ridarmi tutti i giorni che non ho passato con le amiche che ho tra Torino e Milano dai tempi del liceo e dell'universita', con la mia amica conosciuta quando lavoravo alla Giuffre', con la mia amica conosciuta gli ultimi sette mesi a Ginevra.
Sono gia' cosi' tanti i giorni che accetto di non vivere con le persone che amo o a cui voglio bene, che accettare di perdere anche la mia vita varsaviese, anche solo per un tempo che forse tra cinquant'anni sembrera' stato un battito di ciglia, mi costa una fatica cosi' grande da non esserci ancora riuscita del tutto.
Il lutto e' la risposta complessa dell'essere umano al senso di perdita verso una persona o una cosa con la quale esiste un legame di affetto. Nell'elaborare questo sentimento, mi sono ritrovata nel classico schema di emozioni suddivise da Kubler Ross in Negazione, Rabbia, Negoziazione, Depressione, Accettazione.
Non mi ha aiutato l'impossibilita' di parlarne immediatamente con tutte le persone con le quali avrei voluto parlarne, privandomi cosi' della possibilita' di piangere dal vivo con alcune persone che sapevo avrebbero potuto rincuorarmi e darmi un' abbraccio vero.
Non mi aiuta il peso della responsabilita' verso le bambine e i nonni di imporre loro una distanza maggiore, colmabile con voli aerei come faremo, ma di fatto psicologicamente dura. Anche sette ore di fuso orario allargano la distanza dell'oceano.
Non ho mai creduto che fare gli expat sia un regalo alle mie figlie: avrebbero viaggiato comunque, se non da piccole, da studentesse, avrebbero potuto imparato le lingue studiandole in ogni caso, come ho fatto io che ho imparato l'inglese fluente prima di aver mai messo piede in un paese anglosassone, sarebbero state felici di poter dare un abbraccio e giocare coi nonni ogni volta che lo desiderano. Parlo per me: noi ci muoviamo per lavoro, per avere occasioni professionali migliori sia per contenuto che per remunerazione e conseguentemente avere un tenore di vita migliore. E' la nostra scelta di adulti, che ha conseguenze sia positive sia negative sulle bambine, non mi illudo che da grandi ricorderanno solo con gioia la loro infanzia, ci sta che ricordino con dispiacere l'aver cambiato tante volte scuole e amici, non aver visto nonni zii e zie, di sangue e acquisiti, quanto avrebbero voluto.
Infine, e' difficile elaborare il mio dolore senza turbare l'equilibrio di coppia, perche' ovviamente da questo nuovo lavoro ne beneficeremo entrambi in possibilita' ed esperienze, ma di fatto e' il suo lavoro, per il quale mi tocca abbandonare il mio mondo.
In questo mare di emozioni, un giorno la mia piu' cara delle nuove amiche, mentre stavo coi piedi affondati nella sabbia del playground mi ha scritto: Vale io e te saremo sempre expat, siamo fatte per questa vita, non potremmo e non vorremmo fare altro.
Ho ripensato a questa frase molte volte nelle settimane successive.
Ognuno paga il prezzo della sua passione: l'attore che si presenta a ogni provino e potra' sfondare o essere cassato. L'artista che si pone coi colori davanti alla tela e un giorno esce il capolavoro e l'altro una pennellata sbagliata ed esce una crosta.
Io ricomincio ogni volta da un posto diverso, portando dietro me stessa, un po' di bagaglio e il cuore pieno di persone che amo. E non ho sempre la garanzia che andra' bene, anzi so gia' che a volte e' andata bene e a volte e' andata male, come l'attore ai provini e il pittore nel suo studio. E' doloroso quando va male, ma non volevo fare una vita sempre nello stesso posto, ferma li' a far sempre la stessa cosa.
Pensavo che ormai a forza di ricominciare ci avevo fatto il callo e non avrei piu' provato difficolta' a staccarmi dal passato e a lanciarmi nel nuovo: fu durissima lasciare Torino per Pavia, non mi costo' alcuna fatica lasciare Pavia per Bruxelles, ne' Bruxelles per tornare a lavorare a Milano e stare dai miei a Pavia, ne' lasciare l'Italia definitivamente per Ginevra, ne' Ginevra per Varsavia.
Non avevo calcolato che avrei potuto trovare un posto cosi' speciale da diventare per me la mia nuova casa. E partire da casa, e' sempre lo spostamento piu' duro di tutti: sono di nuovo alla casella d'inizio.
Per riempire i buchi delle parole che avrebbero potuto avere per me le amiche alle quali non potevo raccontare nulla, ho cercato su Internet, proprio come in passato ho cercato consigli per viaggiare con i bambini o per tradurre correttamente una sentenza dell'Unione da originale a lingua pivot.
E cosi' che ho trovato il filo che collega le esperienze di tante altre expat spouses che sperimentano il senso di perdita: l'emotional resilience.
E cercando una traduzione italiana, ho trovato conforto in questa di Pietro Tabucchi:
Il termine "resilienza" in origine proveniva dalla metallurgia: indica, nella tecnologia metallurgica, la capacità di un metallo di resistere alle forze che vi vengono applicate. Per un metallo la resilienza rappresenta il contrario della fragilità. Così anche in campo psicologico: la persona resiliente è l’opposto di una facilmente vulnerabile. Etimologicamente “resilienza” viene fatta derivare dal latino "resalio", iterativo di "salio". Qualcuno propone un collegamento suggestivo tra il significato originario di "resalio", che connotava anche il gesto di risalire sull’imbarcazione capovolta dalla forza del mare, e l’attuale utilizzo in campo psicologico: entrambi i termini indicano l’atteggiamento di andare avanti senza arrendersi, nonostante le difficoltà.
La mia personale definizione del termine è la seguente: la resilienza psicologica è la capacità di persistere nel perseguire obiettivi sfidanti, fronteggiando in maniera efficace le difficoltà e gli altri eventi negativi che si incontreranno sul cammino. Il verbo "persistere" indica l’idea di una motivazione che rimane salda. Di fatto l’individuo resiliente presenta una serie di caratteristiche psicologiche inconfondibili: è un ottimista e tende a "leggere" gli eventi negativi come momentanei e circoscritti; ritiene di possedere un ampio margine di controllo sulla propria vita e sull’ambiente che lo circonda; è fortemente motivato a raggiungere gli obiettivi che si è prefissato; tende a vedere i cambiamenti come una sfida e come un’opportunità, piuttosto che come una minaccia; di fronte a sconfitte e frustrazioni è capace di non perdere comunque la speranza.
In queste settimane in cui non ho scritto, ho messo tutte le mie energie nello sfruttare al massimo il tempo che ho ancora qui a Varsavia, nel cercare di accettare questo prossimo passo e sto facendo del mio meglio per diventare anche io una resilient expat, possibilmente prima di salire sull'aereo il prossimo primo dicembre con un marito, due bambine, due bagagli a mano, un passeggino, un monopattino e nove valigie di stiva. Sull'argomento:http://adaptingabroad.com/news/life-abroad/expat-emotional-resiliencehttp://www.theemotionallyresilientexpat.com/http://expatriateconnection.com/warning-as-an-expatriate-you-may-suffer-from-this-condition/http://en.wikipedia.org/wiki/K%C3%BCbler-Ross_model