La sentenza di assoluzione in appello dei due imputati nel noto processo di Perugia starebbe a dimostrare ancora una volta, secondo l’ex-guardasigilli e neo-segretario del PDL Angelino Alfano, che “in Italia per gli errori giudiziari nessuno paga”.
Ma chi, secondo Alfano, dovrebbe pagare in questo caso ? Forse i giudici di primo grado, che avrebbero sbagliato tenendo in carcere per quattro anni due innocenti ? E se la corte di cassazione, accogliendo i ricorsi già proposti dal pubblico ministero e dalla parte civile, dovesse tra qualche mese o qualche anno annullare la sentenza di appello e dare ragione ai primi giudici, dovrebbero in quel caso pagare, secondo la logica di Alfano, i giudici del secondo grado che avrebbero mandato liberi due feroci assassini ?
Non può credersi che l’ex-ministro della giustizia ignori in buona fede che il nostro ordinamento statuisce, a differenza di altri ordinamenti meno evoluti sul piano delle garanzie del cittadino e della civiltà giuridica, una pluralità di gradi di giudizio, sì che la possibile difformità di convincimenti e di decisioni tra un grado ed un altro della giurisdizione è prevista dal nostro sistema processuale come dato fisiologico per il conseguimento del più alto livello di certezza giudiziaria. Nel caso in questione la corte di assise aveva giudicato argomentando prevalentemente in base ai risultati delle indagini tecniche condotte dagli specialisti della polizia scientifica, risultati poi smontati o almeno messi seriamente in dubbio dalle perizie disposte ad istanza delle difese nel processo di secondo grado: e questo spiega in modo del tutto piano e comprensibile la diversità dei giudizi.
Dovrebbe comunque essere ben noto ad un ex-ministro della giustizia che secondo le nostre leggi l’imputato va assolto non solo quando sia risultato innocente, ma anche nell’ipotesi in cui la sua colpevolezza non sia stata accertata oltre ogni ragionevole dubbio: e proprio questa seconda ipotesi sembra essere, come meglio potrà emergere dalla motivazione della sentenza, quella fatta propria in questo caso dalla decisione di secondo grado.
Si deve rilevare infine che il processo in esame si è svolto, in primo grado come in appello, davanti ad una corte di assise, che come tutti sanno è composta per tre quarti di cittadini estratti a sorte (c.d. membri laici), con due soli magistrati togati su otto componenti. Pertanto, è ben possibile nei giudizi di assise che i due magistrati, o l’uno o l’altro di essi, vengano posti in minoranza nella decisione, ciò che non potrà mai appurarsi per il segreto imposto alle deliberazioni in camera di consiglio. Ma allora, nel caso di ritenuto errore chi dovrebbe essere chiamato a pagare? Forse ciascun componente della corte giudicante e quindi anche i sei membri laici e anche chi si fosse dichiarato contrario alla decisione assunta ?
Non meno assurda ed incredibile risulterebbe la pretesa di ‘farla pagare’ ai magistrati della procura, la cui posizione accusatoria si è basata nel caso in oggetto sull’esito delle analisi e degli accertamenti compiuti dalla polizia scientifica. Il magistrato del pubblico ministero non ha ovviamente alcun ruolo né preparazione per svolgere di persona sofisticate indagini di natura scientifica, cui sono preposti legittimamente qualificati organismi tecnico-amministrativi: come si potrebbe quindi renderlo responsabile di aver fatto affidamento sui dati tecnici fornitigli da tali organismi ?
La stupefacente “gaffe” di Alfano risulta comunque illuminante, se non altro, circa la correttezza istituzionale, l’onestà intellettuale e la competenza in materia giuridica del personaggio che per tre anni è stato alla guida del ministero della giustizia nel nostro Paese.