di Pietro Maurandi
Recentemente la Rsu e i sindacati del teatro lirico di Cagliari hanno organizzato uno spettacolo di concerti e un dibattito per far conoscere le condizioni delle Fondazioni dei teatri lirici in Italia. Questi lavoratori con le loro lotte non difendono solo il posto di lavoro, cosa importante e rispettabile ma che riguarda solo loro; difendono anche il lavoro che fanno, che è altra cosa e che riguarda tutti. Tutti per modo di dire, perché in realtà buona parte dell’opi nione pubblica italiana è scarsamente interessata a ciò che accade nella cultura e nell’arte. Del resto la politica non è da meno: ricordiamo tutti che un importante Ministro affermò che con la cultura non si mangia, e di pochi giorni fa è l’affermazione del presidente della commissione cultura della Camera, Galan, che 14 fondazioni lirico sinfoniche in Italia sono troppe; non si capisce in base a quale parametro e a quale ragionamento.
Se non siamo al culturame di scelbiana memoria poco ci manca. La musica lirica è un patrimonio della cultura italiana, che viene normalmente rappresentata nel mondo. Ma se in Italia si rappresentano meno opere liriche che in paesi come Francia, Germania, Austria e Stati Uniti, è evidente che c’è qualcosa che non va nei finanziamenti e nella gestione delle Fondazioni. Deve essere chiaro che le istituzioni culturali, queste e altre, non possono vivere con il ricavato dei biglietti, perciò il finanziamento pubblico è sempre necessario. Tanto è vero che in altri paesi i teatri lirico sinfonici ricevono dallo Stato più finanziamenti che in Italia.
Si tratta semmai di attirare sponsorizzazioni private con opportune agevolazioni e di garantire quantità e qualità. In periodo di crisi tuttavia è normale che vi sia una riduzione di risorse. La conseguenza è che, trattandosi di teatri stabili e quindi con personale in gran parte fisso, calano le rappresentazioni. Naturalmente c’è sempre l’in telligente di turno a sostenere che bisogna ridurre il personale, forse un po’ di violini qua e qualche tromba là, senza rendersi conto che in questo modo le rappresentazioni calerebbero ancora di più. C’è poi sempre chi lamenta che i dipendenti di questi teatri lavorano poco.
Se questo fosse il problema, e certo in molti casi lo è, li si metta a lavorare. Ma per fare questo occorre gente che sappia e voglia far lavorare gli altri. Si tratta di attività complesse, che richiedono diverse competenze e qualità elevate. Per questo occorre che chi ha responsabilità dirigenti per mettere la gente a lavorare e a produrre spettacoli abbia la capacità, la competenza e la testa per farlo. Ma troppo spesso sono proprio questi elementi che scarseggiano e quando ci sono vengono irresponsabilmente emarginati. È quello che accade nella Fondazione teatro lirico di Cagliari, da tempo travagliata da vistose manifestazioni di prepotenza, dilettantismo e sciatteria.
Il risultato è che il Teatro lirico di Cagliari rischia, insieme ad altri, di perdere la qualità di teatro stabile per diventare altro, con conseguente perdita di elevate professionalità, di esperienze, di capacità di formazione e di educazione musicale. Se questo dovesse accadere, non sarà la grande musica italiana a soffrirne, che continuerà ad essere rappresentata nel mondo, ma sarà la città che perderà un patrimonio prezioso, frutto di una lunga e solida tradizione. C’è chi lavora alacremente per la fine del Teatro Lirico, alcuni in modo inconsapevole altri per finalità oscure ma tutti con una buona dose di ignoranza. Si tratta insomma di un assassinio annunciato. Se tanto dovesse accadere, a chi ha a cuore questa come altre istituzioni culturali non resterebbe che dedicarsi a cercarne i responsabili; una cosa non troppo difficile perché gli assassini sono pochi e ben visibili.
Fonte: Sardegna Quotidiano 5 luglio 2013