Magazine Diario personale

Ma come fanno gli avvocati del diritto del lavoro a dormire la notte?

Da Giovanecarinaedisoccupata @NonnaSo

Ci sono giorni in cui resto così, basita, tramortita da quello che sento, e il cervello è come se mi si grippasse. Si impianta lì su un pensiero, un’idea, uno sgomento indicibile, e non si muove più . Kaput, morto, finito, sciopero generale senza orari garantiti, protesta silenziosa ma irremovibile. Non si capacita e punto.

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Ci sono quei giorni in cui sento cose che certi umani… anche se definirli umani, a questo punto, va oltre il fare un complimento involontario.

Ci sono giorni tipo oggi, che mi chiama un’amica, a cui stanno succedendo cose davvero brutte: lei mi chiama in lacrime per chiedermi cosa fare e, per la prima volta in vita mia, non so proprio cosa dirle.

Ho questa amica, si, e badate bene, si tratta di un’amica vera e non uno di quegli espedienti narrativi per cui si parla di una ipotetica amica a cui succede qualcosa perché ci si vergogna ad ammettere che sta succedendo a noi, no. È un’amica vera, che esiste nella realtà reale che più reale non si può, e le sta succedendo davvero tutto questo e, dio sia ringraziato, non sono io. Dico per fortuna non sono io perché io sono stata licenziata 3 anni fa, non ho mai più ritrovato lavoro, perciò PER FORTUNA non può succedere a me di essere licenziata DINUOVO e in questo modo meschino (a dir poco).

Ho questa amica, dicevo dunque, che mi chiama per raccontarmi l’ennesimo sviluppo della sua triste, inconcepibile storia, che vi riassumo a grandissime linee e cambiando un po’ i dettagli (ma il sugo resta, acido e rancido a bloccarci la digestione): lavoro normale, di quelli che un po’ tutti quanti avevamo, pagato normale, tante ore e tante ferie e recuperi che si accumulano, un contratto che parla di certe mansioni ma non di tutte le altre di cui si fa carico (scopriremo poi completamente pro bono, e poi venitemi a dire che sono choosy se dico che io d’ora in poi col cavolo che faccio il lavoro extra che non mi compete!).

Un lavoro di quelli classici insomma, che non fate fatica ad immaginarvi e nemmeno ad accollarvi ogni giorno – i pochi fortunati di voi che ancora ce l’hanno, sto lavoro – ma poi un giorno capita, che la mia amica si ammala. Di una cosa grave, una di quelle che non lasciano scampo. Solo che lei è la seconda volta che le viene, e questa volta si trova a pensare che forse è meglio se non le lascia scampo, visto che quello che resta, dopo mesi e mesi di terapie, dopo averla “scampata”, è qualcosa peggio della morte. Che ti ammazza di più, che ti fa  chiedere come vivrai da quel giorno in poi, come andrai avanti, con quali forze. Con quali soldi.

E si, buttiamola anche sul venale, visto che le bollette non si pagano respirando e il frigo non si riempie coi soldi.

La mia amica sconfigge il male, sopporta mesi e mesi di dolore e di mobbing spietato, volto a convincerla a licenziarsi, a sentirsi in colpa per tutto quel tempo “inutilmente trascorso a casa”, sopporta accuse ignobili (di essersi approfittata della malattia, di avere FINTO la malattia – e ha finto bene, visto tutti i certificati e referti medici che servono per avere diritto a certe cure! -), cerca di rientrare sul posto di lavoro, per scoprire che non solo non esiste più, ma che ovviamente lsi è tramutata lei stessa in persona “non gradita dall’azienda”.

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Le armi ben affilate che hanno in mano le aziende per portare avanti questi discorsi sono sempre le solite: soppressione di incarichi, chiusura di punti vendita, chiusura di uffici, bla bla bla. Poco più che scuse patetiche per fare i porci comodi e lasciare a casa chi “non si è comportato bene” nei confronti dell’azienda, chi non fa più  comodo, etc.

Dopo essere stata praticamente sbattuta fuori dall’azienda senza uno straccio di… di niente, la mia amica si trova un avvocato, gli passa la pratica, chiede che cosa le è possibile fare per essere reintegrata sul proprio posto di lavoro o con un’altra mansione, cosa è possibile fare per avere una liquidazione, i soldi dei 6 mesi di stipendi arretrati non versati, i soldi della malattia calcolata male e di cui l’azienda si è approfittata bassamente…  l’avvocato dice “stia tranquilla, CI PENSO IO”.

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Passano quasi 3 mesi. Tre mesi di “tempi tecnici”. Tre mesi di lettere, chiamate, solleciti, tre mesi di appuntamenti in ispettorato del lavoro e alle varie autorità preposte dove l’azienda non si presenta mai. L’avvocato dice “stia tranquilla, li abbiamo in pugno,  vista la palese mancanza di buonafede le faremo avere quello che le spetta”. Magari non la riassunzione o la conservazione del suo posto di lavoro, ma almeno quello che le spetta…

Intanto la mia amica viene da quasi 2 anni di inattività, in cui non ha potuto fare colloqui di lavoro (e non venitemi a chiedere perché: una donna con una brutta malattia si vede a occhio nudo, e sapete dove vanno a finire i curriculum dopo un colloquio con una potenziale candidata che forse schiatta entro 3 mesi forse no ma se non schiatta ha una riabilitazione lunga da fare, vero? Ecco, ci siamo capiti), e ancora per 3 mesi non può fare colloqui, sembra, visto che la sua posizione in azienda è ancora da definirsi: licenziata? Sospesa? E per quali motivi, perché ha la grande C? Vai a capire.

Vai a capire come diavolo è possibile che accada una porcata del genere, una discriminazione del genere, e vai a capire come è possibile che un’azienda che si comporta così la faccia pure franca, e con tutte le benedizioni della legge e delle procedure.

Vai a capire come, dopo 3 mesi (c’erano di mezzo le vacanze di Natale, dai… un po’ di comprensione!) le arriva la lettera di licenziamento. Che ratifica il licenziamento a detta dell’azienda AVVENUTO 3 MESI PRIMA!). La mia amica va all’INPS, e scopre che l’azienda ha notificato 3 mesi prima all’INPS il licenziamento, e siccome lei non si è presentata a far domanda, nemmeno la disoccupazione le spetta, ora.

Non fa fede la lettera arrivata a lei con data di 3 mesi dopo, non importa che ci siano testimoni le istituzioni coinvolte, gli avvocati, le controparti che non si sono presentate ai vari appelli e convocazioni fatti: all’INPS non possono fare nulla, schiavi del sistema informatico che ormai ha recepito una data e tante grazie, ai vari ispettorati, sindacati, consulenti, avvocati e azzeccagarbugli non resta che minimizzare, fare spallucce, confessarsi increduli, allargare le braccia e dire “è il sistema, non sappiamo come fare”.

Nessuno ha colpa, nessuno sa cosa dire.

A maggior ragione io.

Io non so cosa dirle. Non so cosa fare di fronte al suo pianto disperato. So solo arrabbiarmi, e rimanere incredula. So grippare il mio pensiero intorno alla vana convinzione che da qualche parte una giustizia esista, che i diritti dell’uomo, del lavoratore, debbano essere garantiti. Che gli avvocati siano pagati per fare il loro il lavoro e che tale debbano fare: raddrizzare i torti subiti, fare causa per danni che non si riusciranno mai  a riparare, tutelare, assistere, servire e proteggere.

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E non so cosa risponderle quando mi chiede: “perché tutto questo sta capitando a me? Cosa ho fatto di male?”

Ecco, lettori miei, ci sono giorni in cui sento queste cose, e poi ci rimugino e rimugino e rimugino cercando una via di scampo che non esiste. E in quei giorni poi mi capita anche di sentire gente che si lamenta “per futilità” grandiose (tipo il dover lavorare anche di sabato, o durante le feste, o tipo che ne so che hanno fatto la settimana bianca ma che schifo non c’era neve…) e in quei giorni, ecco, mi parte l’embolo, e vorrei prenderli tutti a schiaffi. Ma sul serio eh. Tenerli con la testa sotto l’acqua gelata per minuti interi e gridargli nelle orecchie “ma ti svegli per l’amordiddio? Te la dai una svegliata, apri gli occhi, lo vedi come siamo conciati??!

Ci sono giorni in cui sento cose che mi lasciano così, di sasso. E in quei giorni non posso fare a meno di chiedermi: ma gli avvocati del diritto del lavoro, come fanno a dormire la notte? E gli impiegati dell’INPS, e dei centri per l’impiego, e dei vari sindacati, protettorati, chipiùnehapiùne-ati… come fa tutta questa gente a dormire la notte?

E poi la risposta almeno a questo quesito arriva subito, certo: che gliene frega a loro, un lavoro ce l’hanno, pagato sicuro e puntuale  a fine mese sia che lo svolgano bene che che lo svolgano male… che gliene frega a loro?

Già…


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