Due sposini inglesi, Tom ed Evelyn, sono in vacanza in Spagna. Lei è incinta. Entrambi sono felici.
Per una serie di fortuite coincidenze finiscono sull’isola di Almanzora, situata in quel lembo di mare tra la penisola iberica e l’Africa. L’unico paese dell’isola è molto suggestivo, solare, lontano dalle consuete mete del turismo di massa. Tuttavia su Almanzora c’è qualcosa che non va. L’isola è praticamente deserta. Non si vedono adulti e gli unici bambini che ogni tanto fanno capolino lungo le vie lastricate di sanpietrini, sotto la canicola estiva, hanno un ché di inquietante.
L’incubo vero e proprio ha inizio quando Tom assisterà a una drammatica scena: una ragazzina dodicenne che uccide a bastonate un povero anziano, sul retro della sua casa…
Siamo molto lontani dalle atmosfere che solitamente associamo a un film horror: buio, nebbia, riprese notturne, pericoli che si nascondono in luoghi ctoni e impenetrabili. Qui non c’è nulla di tutto ciò.
Almanzora, luogo in cui è ambientato Ma come si può uccidere un bambino? (d’ora in poi MCPUB) richiama alla mente alcuni paesi meno noti delle isole Baleari, o più propriamente delle Canarie. Siamo in estate, il sole picchia duro, il caldo si fa sentire sulla pelle dei due protagonisti, perennemente sudati.
Ma facciamo un passo indietro: la pellicola si apre con tre spezzoni ricavati da altrettanti documentari. Essi parlano delle vittime più innocenti – i bambini – della cattiveria umana. Davanti agli dello spettatore sfilano immagini di lager nazisti, della carestia in Biafra, della guerra in Vietnam.
Poi la scena cambia e ha inizio il film vero e proprio, che sarà una lenta ma inesorabile discesa nell’incubo.
MCPUB è un film del 1976, diretto dal regista uruguagio (naturalizzato spagnolo) Narciso Ibáñez-Serrador. Si tratta della trasposizione di un romanzo di Juan José Plans, a cui si rifà piuttosto fedelmente.
Il contagio che trasforma i bambini di Almanzora in piccoli, feroci killer sembra essere di origine ipnotica, una sorta di contagio mentale che attecchisce solo su soggetti di giovane e giovanissima età. Questa follia dilagante li ha portati a eliminare quasi totalmente la popolazione adulta dell’isola, e a cercare un modo per lasciare Almanzora, espandendo così l’epidemia altrove.
Tom ed Evelyn, finiti per puro caso in questa situazione spaventosa, rappresentano le loro nuove prede, almeno finché sull’isola non arriverà qualcuno in cerca di spiegazioni per i mancati contatti telefonici con l’intero paese balneare.
Se le atmosfere estive, soffocanti, rappresentano a mio parere un valore aggiunto alla storia, è chiaro che essa sfrutta al meglio l’interrogativo del titolo. Come è possibile uccidere un bambino, anche con la consapevolezza che esso, se lasciato libero di agire, si comporterà come un killer senza inibizioni? La civilizzazione occidentale ha allontanato i tempi oscuri i ragazzini venivano massacrati in guerre, crociate e stermini di vario genere. Eppure, come capirà il protagonista di MCPUB, uccidere un bambino è l’unica speranza di andarsene vivi da Almanzora.
Film inquietante e provocatorio, che parte dai presupposti di quelli che, negli anni ’70, erano forti propositi pacifisti ed ecologisti. In tal modo si spiegano le scene da documentario che aprono la pellicola, e la piaga biblica che ci racconta il regista.
Finale a effetto, molto riuscito, molto cupo, a dispetto – una volta ancora – della scenografia mediterranea, solare, estiva.
Brividi veri.
Alex Girola – follow me on Twitter