Ma Darwin era razzista?

Creato il 30 dicembre 2010 da Barbini

Il giovane salesiano che negli anni Venti attraversava le terre ghiacciate della Terra del Fuoco o i precipizi della catena montagnosa di Darwin, montando un mulo rossiccio e cisposo, non poteva impedirsi di guardare spesso al di là del Canale di Beagle. Pensava a quella missione nell’isola ultima di Dawson, frutto della tenacia di Don Fagnano, che l'aveva ottenuta dal governo cileno per poi trasformarla prima in un nascondiglio e poi in una casa  per centinaia di indios che andavano e venivano.  Beninteso, i salesiani tentarono di abituarne una quarantina al catechismo, ai pantaloni e alla zappa. Arrivarono anche le suore di Maria Consolatrice per insegnare il telaio e il cucito. Così travestiti gli indios forse sarebbero riusciti a sopravvivere.
Seguendo lo sguardo del mio missionario anch’io sono sceso dal vecchio pontile oscillante nelle acque agitate dello stretto. E  ho capito perché ad Alberto questa sia sembrata subito l’isola più inospitale del mondo. Pioggia, vento e freddo rigido e pungente. Piove, piove sempre. L’aria è  pesante  come una lastra di piombo. Le foglie del canelo, albero sacro agli auricani, diventano bianche  e fradicie.   E' difficile riuscire a immaginarsi come potevano vivere qui quegli indios strappati alla loro storia. Nel 1920, comunque, allo scadere dei venti anni pattuiti, il governo cileno non rinnovò ai salesiani la concessione. S'era diffusa la voce che l' isola traboccasse d' oro e cercatori ed estancieros la volevano. Solita vecchia storia. E forse fu anche un bene perché là gli indios morivano come mosche. Un vero e proprio etnocidio. Nonostante il catechismo si lasciavano sconfiggere da malattie sconosciute. E quando le malattie erano conosciute, i loro sciamani non sopportavano che guarissero. Insomma, se uno era infestato dagli spiriti maligni non poteva guarire. Se guariva, lo strangolavano. A guardarmi intorno faccio fatica a credere che un posto così un tempo possa avere scatenato qualche appetito e perfino un sogno di ricchezza.Mezzo secolo dopo l'isola era ancora così inospitale che Pinochet la usò come campo di concentramento per intellettuali. Gli indios non sopravvissero a lungo alla chiusura della missione. Oggi cammino, dopo i muri spenti, in un grande cimitero pieno di croci. Nessuno è sopravvissuto. Quel poco che rimane di loro è nelle foto e nei libri prodotti nella prima metà del secolo dai missionari. Il piccolo museo salesiano racconta tutto questo nello stile a tratti melenso dei religiosi. Ci dice poco del genocidio. Ma una teca sembra suggerire dove cercare il contesto culturale che lo facilitò. E' dedicata ad un vecchio nemico, Charles Darwin. Intorno al 1830 Darwin arrivò col Beagle in Terra del Fuoco e mentre cominciava a mettere a fuoco le idee che avrebbero rivoluzionato il nostro pensiero ebbe vari contatti con gli indios. Nel Viaggio di un naturalista intorno al mondo li descrisse come cannibali la cui appartenenza all'umanità pareva perlomeno dubbia:Spesso ci si chiede che piaceri possano mai provare certi animali: a maggior ragione bisognerebbe chiederselo rispetto a questi selvaggi. Non è la frase che mi aspetto da uno dei grandi scienziati della nostra storia. Sarà che ci piace pensare che la scienza tra tutte le attività umane sia quella più libera dai pregiudizi.Eppure è così: Il libro è esposto nella teca, aperto perfidamente su una pagina in cui si leggono frasi del tipo: Non ho mai visto da alcuna parte esseri così abietti e miserabili. C'è dell'eleganza in questa vendetta. E a me piace che, almeno in questo ultimo lembo del mondo, ci sia qualche religioso che se la prende con Darwin non per la sua teoria dell'evoluzione, ma perché da quel suo pensiero traspirava anche tutta l'arroganza dell'uomo bianco. E penso che De Agostini, tra tutte le cose che mi sta insegnando, mi aiuta anche a capire che c'è scienza e scienza: che la scienza non è mai neutra, non è mai da prescindere. Piuttosto ha sempre bisogno di qualcosa di più, di qualcosa che viene prima. Charles Darwin era solo un ragazzo quando disse quelle parole. Era ancora lontano dall’essere riconosciuto come il grannde scienziato padre di una teoria dell’evoluzione destinata a sconvolgere secolari convinzioni.

Forse nemmeno lui avrebbe saputo spiegare perché alla fine si era ritrovato a bordo del Beagle, brigantino della Royal Navy che il 27 Dicembre 1831 era salpato da Davemport per fare il giro dell’intero emisfero sud.Magari aveva fiutato la grande occasione della vita. Oppure si era semplicemente imbarcato per evitare altri destini. Anche lui inquieto, come De Agostini aveva voglia di mettere le ali.  Oppure per scansare un padre che lo avrebbe voluto pastore d’anime, figurarsi, proprio lui, l’uomo di una scienza che la religione che la Chiesa ha fatto molta fatica a digerire e forse non c’è ancora riuscita del tutto.Lo immagino qui in questo Stretto, il giovane Charles,molti anni prima di De Agostini. Anche lui  se ne sta appollaiato sulla prua del brigantino che lo sta consegnando alla distesa d’acqua  il cui nome è una sfacciata bugia, il Pacifico. Passa giornate intere a indigare la vita che gli si presenta davanti in una prodigiosa varietà di forme e specie. Di li a qualche settimana approderà alle isole Galapagos delle infinite meraviglie, dove davvero potrà schiudere i misteri dell’elevoluzione e tradurli in parole che noi leggeremo sui nostri manuali di scienze. Penso a questi due ragazzi che navigano nello Stretto di Magellano,  Charles e Alberto , poco più di vent’anni per uno e un futuro enorme che li aspetta. Dopo il suo lungo viaggio sul Beagle Darwin non si mosse più da Down House, la residenza nel Kent dove mise a punto in testa e poi nei libri le sue convinzioni scientifiche. Cambiò il mondo senza più girarlo, il mondo.


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