Il campanilismo tutto all’italiana, cioè a prescindere, senza capire nemmeno di che cosa si sta parlando riempie in questi giorni la bocca a molti se non tutti. C’è voluta la crisi internazionale che finalmente è arrivata anche in Italia per far capire a chi ci governa che di questi tempi è meglio evitare gli sprechi: per non finire come la Grecia.
Così è allo studio l’abolizione di una trentina di provincie tra quelle con meno scatenando l’ira di coloro che devono rinunciare alla loro targa per quella degli odiati vicini. Accorpando le provincie si pensa di eliminare qualche costo fisso (il costo dei palazzi, di personale, dei consiglieri, ecc…). Pia illusione nel Belpaese dove gli enti locali servono per lo più ad alimentare il consenso politico clientelare che per effettiva utilità pubblica. In soldoni è parere di molti che tale provvedimento comporterà un risparmio di molto inferiore alle attese.
La soluzione per non fare torto a nessuno e risparmiare effettivamente qualche soldo da destinare a diminuire il disavanzo statale è quella di eliminare una volta per tutte le province la cui utilità è al giorno d’oggi messa in discussione dagli sforzi che l’apparato burocratico statale ha intrapreso verso l’informatizzazione del rapporto del cittadino verso le istituzioni che rende inutili gli uffici dove pascolano dipendenti pubblici nullafacenti, piuttosto che inopportune dependance dei ministeri.
E già che ci siamo per far sì che non esistano italiani di serie B, proporrei di essere più incisivi e di abolire pure le province autonome, per non parlare poi delle regioni a statuto speciale, che avevano senso forse in altri momenti storici, ma che oggi rappresentano solo un iniquo e inopportuno privilegio.