Interessante, davvero interesante, la riflessione che Elena Stancanelli fa sulle pagine di Repubblica (La nuova letteratura dei social network) nel tentativo di spiegare perché tanti scrittori si sono fatti catturare da Facebook, allo stesso tempo raccontando perché lei stessa si è costruita un profilo, l'ha cancellato (perseguitata dalla domanda: ma a che ti serve?) per poi aprirlo di nuovo.
E dunque, perché tanti scrittori dopo aver passato tanti ore a distillare parole per i loro libri poi non trovano niente di meglio che spendere altro tempo per macinare altre parole sul computer. Possibile sia solo per biechi motivi di autopromozione?
Dice la Stancanelli:
Invece ci colleghiamo a Facebook, scambiamo due frasi con qualcuno, sbirciamo le foto di un altro, scriviamo un mini pensiero nello spazio chiamato "cosa stai pensando". E' rilassante, e non incide sulla carta di credito. Ma a cosa serve? A niente
Forse è proprio questo niente una prima risposta. Questa possibilità di parola leggera, scorrevole, non impegnativa, non destinata a rimanere....
Chissà però che da questo niente non possa nascere qualcosa di incredibilmente importante. Non so niente dei romanzi che in America cominciano a essere scritti a forza di cinguettii di Twitter, non so se attraverso Facebook stanno nascendo la lingua e la capacità di racconto del domani, ma sono proprio contento di poter assistere a cosa sta succedendo. E cito ancora, sarà perché Internet è la grande macchina della citazione universale:
D'ora in poi quando i mormoni della letteratura mi chiederanno "sì, ma a che serve?", risponderò che i social network sono i libri del futuro. E potrei anche avere ragione.