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Ma siamo sicuri che ci siano stati i cattivi maestri? E soprattutto abbiamo ancora bisogno di loro?

Creato il 08 giugno 2013 da Nefarkafka666

Leggo con interesse su la Repubblica on line un bell'articolo su Rossana Rossanda. Rimango abbastanza colpito dalla definizione di madre di una generazione di militanti e dalle considerazioni a vario titolo espresse dall'interessata e dall'estensore. Rispetto la persona, che ovviamente non conosco, e ne riconosco il ruolo all'interno di un dibattito politico e culturale che, alla prova dei fatti, si è mostrato, purtroppo, estremamente autoreferenziale e talmente avvitato su stesso che alla fine si è dissolto. Lacerato dalle numerose intime contraddizioni e soprattutto privato della linfa di un ritorno da parte di un contesto sociale reale al quale, alla prova dei fatti, quegli esponenti non hanno mai parlato.

Emerge ancora una volta la discrasia tra le masse (quella che una volta era la cosiddetta “base�, che viveva nei circoli, nelle osterie, nei dopolavoro) e gli intellettuali con ruoli cardine nelle logiche dei partiti di sinistra.

Alto borghesi i primi per nascita, acquisizione e tradizione.

Proletari i secondi, nel senso etimologico del termine.

Il vero problema della sinistra italiana non è stato quello di avere individui che per origine non appartenevano ai ceti popolari.

Il vero problema è che la sinistra italiana non ha avuto individui in grado di interagire con i ceti popolari.

La generazione della Rossanda ha dedicato gran parte del proprio tempo all'analisi e alla contemplazione, spesso molto compiaciuta (e talvolta anche a buon diritto), di se stessa e del proprio ruolo. Tuttavia questo impegno è stato talmente ipertrofico che a furia di codificare e decodificare la sua funzione, alla fine non ha mai espletato se stessa.

E in tutto questo non c'è mai stato un vero scambio con i ceti proletari, che alla fine hanno dato vita al paradosso di essere più reazionari delle stesse classi privilegiate. In altre parole: l'operaio è più “fascistaâ€� del suo padrone.

La sinistra di cui la Rossanda è parte, è emblema, alla fine, di una classe intellettuale e politica avulsa da un contesto che non era il suo e che non cercava e forse non tollerava stimoli esterni alla propria storia.

Nella modestia del mio ragionamento ritengo che questi personaggi probabilmente non potranno mai essere ricordati come noi oggi ricordiamo (o meglio dovremmo ricordare come merita) un protagonista come Pasolini.

Il poeta bolognese, che non a caso ebbe problemi enormi con la sinistra istituzionale ed istituzionalizzata di cui alla fine la stessa Rossanda era parte, non era espressione della borghesia di sinistra (che poi sarebbe diventata quella vacua, salottiera e radical chic) ma dell'aristocrazia, intesa, ovviamente, nel senso etimologico della parola. La sua intelligenza e la consapevolezza di sé lo spinsero a relazionarsi in maniera privilegiata con i ceti popolari, intuendone la forza vitale e la grazia primigenia. Autentiche risorse che tanta intellighenzia non fu in grado, non dico di comprendere ma addirittura di vedere.

Forse è qui che sta il problema: quella generazione era a sinistra, Pasolini (che ad essa tuttavia apparteneva ma solo anagraficamente) era oltre.



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