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Urla, buio, voci soprannaturali, risa isteriche, fumo, corpi sconquassati da movimenti scomposti, luci a sprazzi, fantasmi incappucciati. È l’inferno o qualcosa che viene da lì, quello che Macbeth e Banquo si trovano a fronteggiare. E lo stesso vale per gli spettatori, che si trovano immersi in un ambiente da incubo, nel mezzo di quello che sembra un delirio onirico, tra visioni spaventose e frasi criptiche.
Una risata isterica libera i personaggi dalla paura che l’incontro con le tre streghe ha provocato; ma non dai torbidi pensieri che si sono installati nelle loro menti. Tale che Macbeth non resiste e ne scrive subito alla moglie, Lady Macbeth, interpretata da una Valentina Capone tanto diabolica quanto sensuale. Le sue parole crude, serpentine, saranno la spinta giusta per le irreparabili scelte di Macbeth. L’amore che lega Macbeth e alla sua signora è un legame potente, intenso, la soddisfazione di uno è fondamentale per l’altra e viceversa; ciò che Shakespeare trasmette con le parole, descrivendo una Lady Macbeth perfida, pronta a strappare i suoi attributi femminili pur di ottenere il apotere per sé e il marito, capace di invocazioni dgli echi terribili, degni di una strega, nel rifacimento di D’Elia è visibile in un rapporto tra i due personaggi molto erotico, fatto di risolini di compiacimento e grida di contrappunto, fino alla simulazione di un amplesso, a dimostrazione della solidità del rapporto tra i due e del loro essere l’una la metà dell’altro, diabolicamente assetati di potere e, soprattutto, sanguinolente complici.
“Macbeth perderai il sonno” è il contrappasso per le azioni del duca di Glamis perché ogni minimo rumore disturba Macbeth, tutto gli appare amplificato e lo scuote, non riesce a distendersi e a tranquillizzarsi, teme complotti e nemici, ha continue visioni e continua a macchiarsi dei crimini peggiori. Il suo incubo diventa il mondo nel quale le scene si svolgono e diventa difficile distinguere ciò che è sognato da ciò che è accaduto. Macbeth è un dannato e si avvale dei mezzi dell’inferno: richiama le streghe, nel tentativo folle di placare le sue ansie, e le parole che ne riceve sembrano farlo, nonostante velate dallo scherno tipico di questi esseri soprannaturali. Ma, come sappiamo, proprio perché esseri soprannaturali e perfidi, esse non rispondono a nessuna etica né logica, e le loro parole si rivelano beffardamente portatrici di altri significati…
In uno spettacolo in cui il volume alto di rumori e grida fa da padrone, insieme a un vistoso utilizzo di luci potenti per squarciare il palco con immagini orrorifiche e disgustose, significativa è la scena finale, in cui Macbeth appare al buio, in silenzio, nudo, scevro di orpelli coreografici di ogni sorta, per recitare una delle più amate quartine della tragedia:
«Spegniti, spegniti breve candela!
La vita è solo un’ombra che cammina: un povero attore
Che incede e si agita sul palcoscenico,
e poi non lo si sente più: è una storia
raccontata da un idiota, piena di rumori e di rabbia,
che non significa niente».
Corrado D’Elia fa da coro alle parole del Bardo, ribadendo che siamo tutti attori su questa terra, ricalcando un ruolo che non sempre ci piace, privo di significato, in una storia che non capiamo.
E come può questo non essere l’inferno, o un terribile incubo, da cui non riusciamo a svegliarci se non quando è troppo tardi?