Ne era al corrente persino William Shakespeare: quando non ti accontenti e cerchi in tutti i modi di salire in alto, troppo in fretta, rischi di perdere il senno e comunque di fallire ampiamente la tua conquista.
Si, d'accordo, questo è "Macbeth", nel suo riassunto più povero e sbrigativo di sempre, eppure tale riassunto ben si accosta all'operazione che il regista Justin Kurzel proprio con "Macbeth" ha voluto compiere, cercando di restituire nuova linfa vitale ad una trasposizione, che seppur sempre attuale, cominciava a soffrire di una certa stanchezza.
Il restauro comincia allora dall'estetica, dalla vividezza delle immagini e dalla fotografia affascinante che risalta le inquadrature molto larghe o molto strette con le quali la drammaticità esplode sullo schermo. Cerca di andare incontro all'epica moderna, Kurzel, quella scaltra a conquistare al primo sguardo e che non si preoccupa di mettere nello stesso universo battaglie a rallentatore degne del miglior Zack Snyder, filtri arancioni o rossi che richiamano il Nicolas Winding Refn di "Solo Dio Perdona" e un linguaggio da Medioevo, di stampo teatrale, obsoleto, eppure devoto all'epoca e alle radici dell'opera. Un allestimento astuto, che non lascia affatto indifferenti, nel quale tuttavia viene a pesare la mancata cura per una sceneggiatura risicata e non all'altezza, incapace di rendere giustizia ai personaggi, alle loro ossessioni e a quel cambiamento che li porta a rovesciare la loro coscienza da cima a fondo, prima di pagarne poi il salato prezzo. L'assurdità che viene a crearsi, dunque, è quella di un epicità voluta, rintracciata ad ogni costo e a tavolino, ma poi mancata proprio nell'ossatura e nella costruzione intima di una tragedia in cui, a parità di scene madri, mancano altrettante scene figlie, imprescindibili per approfondire ed allargare quel discorso relativo ai caratteri, i rimorsi e i demoni del Macbeth di Michael Fassbender e della Lady Macbeth di Marion Cotillard.
Per tenere testa a chi prima di lui si era cimentato nel classico di Shakespeare, il regista pertanto deve aver pensato che fosse indispensabile compiere un salto improprio per le sue gambe. Un salto che, come per "Macbeth", anziché consacrarlo alla pari dei vari Orson Welles, Akira Kurosawa e Roman Polanski ha contribuito ad uno schianto del quale è praticamente impossibile riuscire a salvare qualcosa.
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