A molti il nome di Mimsy Farmer evocherà la splendida interpretazione all’interno dell’argentiano “Quattro mosche di velluto grigio”: per tutti gli altri basti sapere che si tratta di un’attrice certamente convincente, e qui molto ben caratterizzata, oltre che dotata di una bellezza credibile e poco convenzionale. Assai distante, quindi, dai canoni stereotipati della cinica e spregiudicata, tipica dello spaghetti-thriller anni 70.
A riguardo del titolo, per la cronaca, il sito Exxagon specifica giustamente che quelli mostrati nella pellicola sono in realtà brillamenti e non macchie solari (la differenza tra i due fenomeni mi pare interessante, ma troppo “tecnica” da indagare qui: per me, per voi e per la mia sostanziale incapacità di approfondirla). Tutto il film cerca di spulciare ogni dettaglio per comprendere il motivo per cui avvengono tali morti, senza mancare di momenti deboli che fanno un po’ crollare l’interesse del pubblico. Ma c’è un motivo, a questa noia, specie per il pubblico abituato al sovrannaturale fine a se stesso (vedi un qualsiasi horror “di cassetta” coi fantasmini o con lo spirito della classica bambina che spaventa tutti). La spiegazione è umana, dunque entrano in ballo esistenzialismo, sociologia, filosofia e tutti quegli aspetti “pensati e pensanti” che rendono le opere “difficili da digerire” agli occhi dei tanti superficiali che ci sono in giro. In fondo la razionalità che lotta coraggiosamente contro le varie allucinazioni irreali diventa una possibile chiave di lettura di questo film, così come diventa la chiave di volta per comprendere Simona Sano: donna che soffre, incapace di esternare le sue sofferenze e tragicamente vittima della propria bellezza.
In fondo le “macchie solari” potevano essere rimpiazzate dalle maree dei giorni dispari, dalle fasi lunari, dagli influssi magnetici di Marte o anche dagli UFO. La spiegazione realista degli eventi, dunque, cozza solo apparentemente con i presupposti della storia stessa, la quale – come è stato scritto un po’ pedissequamente in giro – tenderebbe ad annoiare nella seconda parte. Secondo me, semplicemente, non è vero. E tanto per non passare per il radical-chic che i film li capisce solo lui, mantiene vivo l’interesse il gioco morboso di mostrare/non-mostrare le grazie della Farmer, che in questo film – quasi a volerla esasperare ad ogni costo – cercano di farsi un po’ tutti (l’amante, il prete, l’amico del padre, l’infermiere all’obitorio ed il padre stesso).