“Sia chiaro: i consigli che il Segretario della Repubblica di Firenze dedicava al Principe in verità non sono a lui diretti, ma alla popolazione intera” (Vieni via con me – Raitre, 29.11.2010).
Dario Fo prende per buona la tesi del Foscolo: Machiavelli scrive un trattatello sul potere per denunciare pubblicamente “di che lagrime grondi e di che sangue”. Non si tratterebbe di un manuale per la presa ed il mantenimento del potere “habb[endo] nelle cose a vedere il fine e non il mezzo”, ma di una deliberata wikileak, una studiata fuga di notizie riservate che un diplomatico in disarmo decide tra una partitella a carte in osteria e un attacco di gastrite, allo scopo di sensibilizzare l’opinione pubblica sulla reale natura del potere. Dario Fo come Assange, Machiavelli la sua talpa. Inutile dire che la tesi del Foscolo è stata largamente smentita, e che Machiavelli va messo con Hobbes e Schmitt, non con Montesquieu e Swift.Non si poteva presentare il pezzo senza la premessa foscoliana? Che male c’era a presentare Machiavelli per quello che era? Un Grande Italiano, senza dubbio, ma gli italiani erano e sono come lui: pessimisti, molto amorali e un po’ fatalisti.Non sarebbe stato allegro leggere Il Principe per quello che è, si correva il rischio di dare i brividi al pubblico di Raitre: ecco il Machiavelli di Dario Fo, allora, una specie di Kissinger passato al nemico che pubblica tutti i suoi carteggi con la Casa Bianca. E lì che amare risate su Nixon, su Carter, su Ford.