Lo so, scrivo di questo film quando ormai non importa più a nessuno. Sempre fuori tempo massimo io, sciocco blogger, che però preferisce parlare di qualcosa quando il clamore si è acquietato. Scrivo meglio nel silenzio, il chiacchiericcio mi disturba. Tra l'altro quando tutti parlano di qualcosa io preferisco leggere (dopo la visione) e farmi un'idea: la mia lettura è una, ma mi piace confrontarla con quella degli altri e, se è possibile, distanziarmene. Non per essere originale a tutti i costi, ma perché spesso ricevo più input e preferisco sviluppare quelli non sviluppati dagli altri, così da trasformare la rete in un mosaico di opinioni in cui ogni recensione aggiunge un tassello per la comprensione di qualcosa. Ammesso che si tratti davvero della giusta lettura.
Ora che non ne parla quasi più nessuno posso dirlo tranquillamente: Mad Max: Fury Road è una figata pazzesca. Più di un film, per me. Un mondo intero creato e trasmutato in digitale, alternativo al nostro. Se il mondo come lo conosciamo noi finisse oggi e questo film venisse ritrovato e riguardato dai sopravvissuti tra qualche centinaio d'anni, diverrebbe la nuova Iliade o la nuova Odissea. Una piccola e strana parte di me è convinta, anzi, che se l'umanità dovesse sopravvivere per ancora migliaia di anni, questo film assurgerebbe al sacrale. Ma voglio essere ancora più drastico: il nuovo Mad Max, ancora più dei precedenti tre, incarna e fa proprio il post apocalittico. Nel genere (se di genere si tratta) è destinato a diventare nuovo punto di partenza e di riferimento, come lo è stato il primo nel 1979 e, ancora di più, il secondo del 1982.
Mad Max: Fury Road è Cinema o almeno, rispecchia l'idea che io ho di cinema o almeno, l'idea che io ho di "creazione" cinematografica. La creazione di un mondo altro, che rispecchia il nostro ma con regole proprie che possono trascendere la fisica, la filosofia, la politica, l'economia. Non che io rifiuti il realismo ma credo che quest'ultimo non sia indispensabile in tutti i tipi di film: in certi casi preferisco e pretendo la plausibilità. La verità è che, quando vado al cinema, desidero sempre e ardentemente di entrare in una nuova dimensione, il famoso Altrove. Questa dimensione altra può essere determinata dallo sguardo della MDP, da quello di uno o più personaggi, dalla visione di sceneggiatori o registi, dal direttore della fotografia etc etc. Non importa. Importa che io non sia più in poltrona, stravaccato sul divano o seduto su una sedia. Ecco, non appena Fury Road comincia, la sensazione è quella di essere catapultati in un altro mondo, un'altra realtà, una diversa prospettiva. Fury Road è la rappresentazione della mia idea di universo immaginifico.
Un universo terribile e terrificante, autartico e distopico, in cui i mostri hanno fattezze umane e gli umani sono mostruosi, popolato da figure che hanno motivo di esistere solo all'interno dello stesso. Non ci vengono date spiegazioni, non ci viene sviscerato il background dei personaggi, non esiste una vera e propria cosmogonia ma esistono divinità ed eroi, guerrieri, despota e ribelli, angeli (caduti) e demoni, rituali che tentano di dare forma al caos. Fury Road è il nuovo capito di una saga ma anche il punto zero della stessa, che si nutre delle opere da essa influenzate venti/trenta anni fa. C'è un po' di Ken il Guerriero in Fury Road, c'è il Berserk di Miura e Doomsday. Per non parlare del videogioco Borderlands o di Waterworld. Opere che alla saga di George Miller devono tutto e che vengono riprese da George Miller che, in un certo senso, si riappropria di quello che è suo. E che diventa persino più autoriale. Certo, non provo imbarazzo a parlare di autorialità parlando di Mad Max, un progetto con delle fondamenta solide e una propria poetica portata avanti tra alti e bassi (dove l'unico basso è forse il terzo capitolo della saga, Mad Max - Oltre la sfera del tuono). Non mi vergogno ad elevare una persona come Miller che oltre a far tutto (dirigere e scrivere) ha mantenuto intatto il proprio stile. Cedendo ai compromessi, certo, ma mai perdendo di vista la propria idea di cinema. E infatti il regista aveva sempre sognato di dirigere questo quarto film e non ha mai rinunciato all'idea. Sono passati 30 anni e, alla fine, ha mantenuto quanto promesso.
Fury Road non è né un remake né un reboot. E' un sequel (i riferimenti al passato di Max non possono che essere letti in questa prospettiva), è un un nuovo inizio con il volto di Tom Hardy, sostituto di Mel Gibson nel ruolo di Max Rockatansky. Un cambio di faccia che agli occhi dei fan non sminuisce il ritorno di un personaggio tanto archetipico: Hardy non ha nulla da dimostrare ma la sua interpretazione è superlativa e la sua voce diventa in tutto e per tutto quella di un Max che non rinnega se stesso, cavaliere solitario inseguito dai fantasmi del proprio passato e che ritrova nel gruppo di fuggiasche capitanato da Furiosa la speranza perduta e una nuova occasione per placare la propria coscienza. Un Max antieroe, folle ma fondamentalmente buono, indurito dai tempi spietati ma non inaridito come il deserto che percorre a bordo della propria Interceptor. A fargli da spalla c'è Furiosa (interpretata da una Charlize Theron sporca e monca, praticamente perfetta), malinconica guerriera, forte e fragile, simbolo di speranza così com'è a metà strada tra passato e futuro. Ed è lei a guidare le spose, sorta di incubatrici viventi dell'antagonista macchiettistico Immortan Joe, che sembra uscito pari pari da un fumetto di Frank Miller, simbolo di una malvagità umanamente mostruosa, della morte di ogni speranza, del distopico presente a cui si contrappone una fantomatica età dell'oro che tutti i personaggi sognano e a cui anelano, compresi i Figli di Guerra, infatuati dalle parole di Joe e desiderosi del Valhalla, paradiso guerriero in cui troveranno il balsamo ad ogni sofferenza terrena.
Come dicevo, Mad Max: Fury Road è la mia idea di cinema che si fa carne digitale, un frenetico road movie in cui l'azione non è più scopo ma essenza, infiammata da un sole cocente immerso nel rumore e da notti bianche di luna più introspettive. E' un grido di dolore nel deserto, è lo sguardo speranzoso, è vendetta e sopravvivenza. Follia. Incubi. Morte, dolore, forza e coraggio. Malinconia e amore. C'è tanto di quell'amore in Fury Road da strapparti il cuore. Amore per il cinema che si concretizza in un comparto tecnico da venire nelle mutande. Perché al di là di sceneggiatura e regia (e la regia è fondamentale, ci sono certe sequenze che lasciano con gli occhioni lucidi per quanto sono belle, complesse e ben orchestrate) c'è la musica di Junkie XL fatta di pathos, elettricità tagliente e scariche di elettronica ma che, soprattutto, è integrata nel film tra tamburi e chitarre sputafuoco. Ci sono le scenografie mastodontiche esaltate dall'ottima fotografia satura di John Seale, la base di una realtà parallela che splende di luce propria attraverso trovate sceniche da incubo. Ci sono i costumi, il trucco e gli effetti speciali, che donano personalità a qualunque personaggio, dai principali ai secondari, permettendo ad ognuno di loro di vivere in questo universo alternativo in cui ogni particolare ha la sua importanza, C'è tutto. Mad Max: Fury Road potrà anche non piacere, potrà non esaltare, ma ha tutto e non gli si può chiedere altro. Vive di vita propria. Ditemi voi, al di là dei gusti, cosa si può volere più di questo da un film.
Chiudo segnalando due cose: la prima è la presenza di una tostissima Megan Gale che non ti aspetteresti mai, la secondo è quella della bellissima Riley Keough, di cui mi sono innamorato.