Madadayo, il compleanno – Akira Kurosawa

Creato il 14 aprile 2012 da Maxscorda @MaxScorda

14 aprile 2012 Lascia un commento

"Il Maestro è nell’anima e dentro all’anima per sempre resterà" e son certo che se Kurosawa avesse ascoltato Paolo Conte, "Il maestro" sarebbe finita come sigla d’apertura del film, l’ultimo del regista, diretto alla veneranda eta’ di 83 anni.
Un vecchio professore in pensione attraversa con filosofia gli anni della guerra e la vecchiaia, non da solo ma accompagnato dai suoi fedeli ex studenti che vedono in lui un esempio e riferimento di vita.
Apologia della vecchiaia, apologia dell’amicizia, apologia delle istituzioni, apologia del Giappone. Kurosawa saluta tutti con sufficiente grazia per autocelebrarsi e lo fa con le carte che gli restano da giocare, scaramanticamente anche col titolo che tradotto suona come "non ancora", leitmotiv di sfondo a diciassette anni di vita di un ex professore di tedesco e di alcuni affezionati ex studenti, celebrato attraverso il rito delle feste di compleanno.
Pellicola che crea difficolta’ a noi occidentali nel comprendere strane abitudini e tradizioni che Kurosawa non modera per il piacere dei suoi amici statunitensi in primis, anzi proprio agli USA spara diverse bordate che sanno persino d’ingratitudine considerando che l’ultimo decennio della sua carriera artistica e’ stato possibile grazie all’intervento economico di Coppola, Lucas e amici vari ma evidentemente e giustamente, alla fine dei giorni che restano, ci si concede il diritto di dire cio” che piu’ aggrada e basti pensare all’incidente "diplomatico" di "Rapsodia in Agosto" con le scuse non autorizzate di Richard Gere.
La conclusione non mi ha fatto impazzire, anzi dalla storia del gatto in avanti e’ tutto un precipitare nella retorica.
Il peloso quattro zampe e’ un elemento del quale si poteva fare a meno e per chi volesse trovarci la poesia del rapporto con la natura, la trasposizione freudiana tra l’animale e i figli mai avuti o perduti o il simpatico siparietto di un vecchio estroso si accomodi, per me e’ senilita’ da ricovero inutile nel complesso.
Anche il pistolotto finale suona di autocelebrazione, un "coccodrillo" fai-da-te forse piu’ adatto alla pacchianita’ di Coelho che all’esperienza del regista che comprensibilmente alla sua eta’, aveva davvero finito le idee.
Il colore giallo di Kurosawa, quello si c’e’ e commuove. Degno allievo del suo tanto amato Van Gogh, fino all’ultimo non dimentica la lezione sul colore e con esso sa ancora stupire. 
Epilogo di un grande regista a ottanta anni ampiamente superati, un saluto, pensiamolo cosi’ e siamo felici di averlo porto. Per l’arte ci vediamo in fondo.

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