Madre mia, mi hai affidato una piega di tristezza

Creato il 06 febbraio 2014 da Wsf

*

E se passa il temporale
siete giunchi ed il vento
vi piega ancor più forti voi delle querce
e poi
anche il male non può farvi del male.

Alda Merini

Cristina Rizzi Guelfi

A Luisa mia

Minutissimi relitti alla deriva,
le teste canute nel sonno
inclinate su un lato,
naufragano qualche parola.

Si distingue una litania,
resta sospesa nella sua imperfezione
eppure propaga il senso, tuona
nell’aria immobile della stanza

Gesù Giuseppe e Maria
Vi dono il cuore e l’anima mia

Un riflesso ardesia scappa via dai grani smarriti
nel cerchio di rassegnata solitudine,
si apre il rosario sulla coperta
di merletto modesto e ingiallito.

Il presente è fermo al tuo corpo vuoto,
scritto in questa immobile attesa,
nel lembo di cielo che gli occhi implorano ai palazzi,
nelle antenne scintillanti di sole.

Fanno rumore le storie che ti sopravvivono,
praticano il rito senza cuore, come si conviene,
e un silenzio o s c e n o  le mie parole,
decomposte nel niente di un fosso.

Un piccione avanza veloce, in un’ellisse di polvere
e carte sporche, mentre io ingoio l’amaro delle lacrime
e aspetto che ti conducano qui, nel cortile dove giocavamo,
quando io ero la tua bambina e tu la mia nonna onnipresente

mi hai consegnata a un’altra assenza, hai lasciato le
mie mani, bruciate dal gelo della tua fronte, e me
alla presenza discreta dei quattro angeli
che ti precedono negli ultimi passi.

Emilia Barbato

*

Eterno ritorno

Ho una galassia nana nelle mani,
lividi ricordi di bambina da salvare
e una disposizione da creatore
nell’accendere la mia scia di stelle.

Restauro il poco di
te arginando la polla di dolore
nel petto, foggio piccoli pezzi
di ricambio per l’immaginazione

e nel clamore di una luce inattesa, per sempre
apri gli occhi in un “ottavo giorno”, tutte le settimane,
e li punti sorridenti
e finalmente caldi nei miei.

Imparo nel tempo la cedevolezza del tuo prato,
la guazza che fa umide le iridi verdissime,
la terra profumata dopo la tempesta
che sa comprendere le mie bocche rigogliose di interrogativi

e sciogliere la tensione dei nervi, mentre ti stringo la mano,
convincendomi che non sia un’impressione, mi
guardo crescere nei tuoi occhi verdi,
forte, come i capelli ricci

che per sempre rimarranno neri sul cuscino
ed io sono tua figlia
e la mia galassia è tutta nella catenina
dei tuoi occhiali l’ultimo giorno.

Non distinguo i particolari delle ore,
non importa se avanza un fronte freddo,
sento il ripetersi dei miei passi incerti
ogni volta che incontro un uomo,

riconosco quella smorfia imbarazzata e la riconduco ai
tuoi guai e ai miei conflitti sospesi.
A cosa vale un sole caldo quando
resto interrotta in una dimensione senza tempo?

in una fila di corallini neri,
che sfilo ogni giorno per risolvermi,
mi hai affidato una piega di tristezza
e una memoria labile, più della nostra esistenza.

Emilia Barbato

Cristina Rizzi Guelfi

Offertorio d’amore liquido

I

così pallida tu nelle cornici svuotate dall’aria
un silenzio candido nella particola del gesto
andare nelle mani offerte e nel giro alle maniglie
scalza riva salata della memoria
mentre oltre grumo di calle martiri
nell’impallidire delle parole
resta una stagione orfana – nella condensa
di neve lacrimata

II

quest’alba tenuta per la pelle
un rimpianto di luce – scarnificato
aggiungo un mese prosciugandomi il seno
il tintinnare delle torbide ore
mi consuma le fondamenta
in questo a_c_cadere

III

risorgono i gesti
dal fermo porta blu cobalto
alla mano trascorsa
nei resti operosi dei tramonti
un sospiro arrampicato nelle gole friabili
della memoria
che zoppica nello scendere delle nuvole

Antonella Taravella

*

[lettera ad una madre]

ha il bordo liso la gonna che hai cucito anni fa, velluto rosso e fiori ocra che ti ho pregato fino alle lacrime per averlo e tu madre sartina piegata nel buio fra una carezza ed un punto sbagliato hai cucito quel sogno bambina
mani così morbide le tue, così belle e libere in volo nel crescermi accudendo cadute e baciando ginocchia sbucciate oggi porto piccoli scrigni pieni di pietruzze e sole, anche nelle lacrime condite con il sale
alle tue gambe la notte in un pianto stesa nelle labbra e ti sentivo così forte nella fragilità di un nord dalle lame lunghe, tu donna e figlia del sud, che amava la terra e il mare che sgambettava sulle spiagge, le tue e le mie, le nostre che erano albe sormontate da castelli in aria e bellezza
e poi sentirsi al freddo di un abbaglio che fiocca e spreme una preghiera in quell’ultimo sguardo velato, nella sconosciuta stanza di una preghiera raggiunta a forza di dai
io sono tua figlia, sono la rabbia che non eri tu, quel sogno lasciato dentro le valige che restano sepolte nel cuore, sono il dolore che hai lasciato andando oltre, sono le mani che mancano, sono e siamo noi persi in avampassi che sono il cuore di un inverno che non passa, siamo fermi al tuo sorriso a ciò che venne a prenderti perché di respiri ne avevi dati troppi

ti racconterei così fra quel velo bianco passato anche sulle mie mani, che un giorno la luce divideva passo anche l’ombra con una carezza, la schiena curva sul sole appoggiato così come un passerotto e dei fiori limpidi lasciati a seccare pronti per il battesimo del vento
questa lenta passeggiata sui dorsi, sulle mani screpolate che furono strette sulle mie dita e quel sorriso transennato dagli occhiali e dalla tempra di terra sicula che a raggiera intiepidiva anche il più freddo dei cuori nordici, mi battevi contro-cuore, nella vita e negli abbracci accuditi sul ciglio del letto
tu ed io due ali, tu ed io due cuori ed un solo gemello di spazio
raccoglierò le vesti e ad uno ad uno inciprierò il ricordo appendendolo nell’armadio in un per sempre che non trova confine

madre mia quanto sei bella con il sole che accarezza le rotondità dei tuoi sorrisi e della tua carne la terra da cui vieni è profumata, raccolgo nella mano destra l’infanzia che scorre dietro i miei bulbi oculari inumiditi – dagli alberi al mare, che trascorreva veloce, dai finestrini aggrappati al veloce schiamazzo di un bambino che percorreva  i corridoi di un treno o di un traghetto colmo di amorevoli ritorni, quanto alla sinistra prende il vento come briglie sciolte e dipinge il resto che accade con la solita lentezza dei raggi e delle nuvole che si appoggiano sui sorrisi e sul quel sentirsi appartenenti anche solo nel sangue a questo triangolo di cuori cuciti nel centro di un dolore

Antonella Taravella

Cristina Rizzi Guelfi