Madri e donne a Portella il 1° maggio 1947

Creato il 20 aprile 2012 da Casarrubea

Iniziamo da oggi, e proseguiremo fino al 1° maggio prossimo, la pubblicazione di alcuni documenti, sul 1° maggio 1947 a Portella della Ginestra. Quelli che risultano agli atti come interrogatori o dichiarazioni rese in tribunale, sono le uniche testimonianze che riteniamo valide ai fini della ricerca. Le altre sono di dubbio valore sia perché non si capiscono i motivi per cui gli interessati si astennero dal dare testimonianze spontanee o sotto giuramento, sia perché, dopo molti decenni, la rielaborazione dei fatti, può essere alterata dalla deformazione del ricordo.

Le tre testimonianze che riportiamo sono state tratte dagli Atti che hanno donato al nostro Archivio gli eredi dell’avvocato Renato Loriedo, difensore di alcuni imputati a Viterbo. Fanno parte dei documenti già inventariati del nostro Archivio. Riguardano la madre e la sorella del caduto Giovanni Grifò, di San Giuseppe Jato: Vincenza Spataro, 48 anni e la figlia Maddalena, 17 anni, nonchè Giuseppa Prefetto di Borgetto.

Vincenza è una donna energica. Si reca a Portella con i suoi due figli, per festeggiare la giornata dei lavoratori. Arriva quando parla il calzolaio socialista Giacomo Schirò. Giovanni va subito ad acquistare delle nespole in uno dei mercatini improvvisati da Francesca Di Lorenzo per conto della Camera del Lavoro di San Giuseppe Jato e San Cipirello. Ad un tratto sente dei “mortaretti”. Assomigliano a quelli delle feste dei santi patroni che si fanno esplodere la mattina in segno di allegria.

Ma non si tratta di mortaretti di festa, ma di segnali di morte. I giudici di Viterbo nella loro sentenza parlano di granate. La folla in preda al panico – dice Vincenza – cerca di ripararsi e di fuggire. La donna chiama il figlio che sopraggiunge invocando la madre: è ferito al fianco destro. Adagiato con altri feriti su un carro è trasportato prima a San Giuseppe e poi in un ospedale di Palermo. Al momento degli spari Vincenza nota che essi provengono dalla Pizzuta, e rivolta in direzione della montagna urla: “Assassini, cosa state facendo?” Nota anche le fiammate e qualcuno che fa capolino dai massi. Non sa quanti siano e a quale distanza si trovino da lei.

Anche Maddalena è andata con sua madre, come Giovanni. Vede cadere i feriti attorno a lei, intuisce il pericolo e così le due donne si mettono in cerca del ragazzo. Mentre lo chiama ad alta voce, la ragazza vede anche lei delle fiamme dai punti dai quali parte il crepitio delle armi, ma non vede nessuno. Dice, però, che, dopo la morte avvenuta il 2 maggio, del fratello, le persone che vanno a visitarle riferiscono che la mattina del 1° maggio, al corteo che si avvia verso il pianoro, qualcuno non meglio specificato chiedeva in tono ironico e minaccioso: “Avete portato con voi l’alcool e il cotone idrofilo?”.

Evidentemente si sapeva che sarebbe successo qualcosa di grave.

Molto interessante è anche la testimonianza di Giuseppa Prefetto in Faraci, 40 anni, da Borgetto. Lei non va a Portella quella mattina, ma ci vanno i suoi figli. Quando rincasano il figlio Menna le dice: “Ho visto Troia nella montagna” (uno dei mafiosi di San Giuseppe Jato). La povera donna lo avverte che prima di accusare qualcuno bisogna “essere ben sicuri”. E conclude: “Egli insistette dicendo che pur avendolo visto da lontano era sicuro che era Troia, esprimendosi così: ‘a mmia iddu mi parsi’ (‘a me è sembrato lui’)”.  Ma il Troia, come gli altri mafiosi, iscritto alla sezione della Democrazia cristiana di San Giuseppe Jato, sarà prosciolto da ogni accusa, nonostante altre testimonianze lo dessero presente a Portella al momento dell’eccidio. (GC)


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