Madrid, Italia, trent’anni fa

Creato il 11 luglio 2012 da Lundici @lundici_it

Eh, sì, trent’anni fa, 11 luglio 1982, mentre al Santiago Bernabeu Pertini roteava la pipa e i tedeschi non sapevano che quella era solo una semplice tappa di uno psicodramma interminabile, i redattori dell’Undici portavano ancora i pantaloni corti. Il ricordo di una notte particolare.

Il rigore di Cabrini

AnnaRitaP  (un’adolescente coi fiocchi) L’avevo scoperto coi Mondiali del ’78, ma nell’’82 fu l’apoteosi: da casa mia si sentiva – forte, a tratti fortissimo – il boato degli omarini nel Bar Centrale, festanti per i goal e rabbiosi per gli errori. Era bellissimo: un urlo corale e animale, che si incuneava tra le case per abbracciarmi. Quindi, finale ’82: salotto di casa, mio padre (sempre polemico con la Nazionale e fintamente distaccato), io (col cuore un po’ lacrimante per la Francia di Platini) e l’attesa del boato. Per sentirlo meglio, correvo dal salotto alla cucina. Cinque boati: rigore sbagliato da Cabrini (boato deluso e imprecazioni vernacolari), goal di Rossi (boato pablitesco o “di rapina”, creato nel ’78 e perfezionato nella gara col Brasile del 5 luglio), goal di Tardelli (boato del maratoneta, protratto come la corsa esultante di Tardelli), goal di Altobelli (boato pertiniano o del “nonciprendonopiù”), fischio finale (boato “campioni del mondo, campioni del mondo, campioni del mondo”). Mio padre rideva. Al Bar Centrale gli omarini boatarono a lungo.

Frabboni (già negli anta, quella notte lontana d’estate). L’odierna stagione della mia vita – sono un diversamente/giovane: ovvero, un anziano – non mi permette di rievocare nitidamente eventi lontani. Con una eccezione. Sono affetto da un morbo incurabile: il Calcio. Per questo, ho ancora negli occhi la notte magica dell’11 luglio/82 quando l’Italia matò la Germania e divenne campione del mondo. A cena nella Trattoria delle rane – sul Reno – in compagnia dell’amico Carlo Pagliarini (presidente dell’Arci-ragazzi), vissi per radio quell’emozionante indimenticabile match. Uscimmo e incontrammo una Bologna inondata da uno tsunami di voci straripanti di decibel, di clacson al vento, di bandiere tricolori. Un tripudio in differita. Ci accodammo a quel carnevale di Rio. Di più. Perché simile alla Festa di liberazione dal tiranno fascista. E’ un’immagine irriverente? Forse, ma noi siamo latini: solari, meridiani e mediterranei.

Enzo e Dino

Gigi (10 anni suonati)  L’Undici luglio 1982 avevo compiuto 10 anni da un pezzo. Avevo festeggiato le vittorie contro Argentina e Brasile scampanellando con la mia bici in giro per il quartiere. Ma non avevo una bandiera. Quando mi decisi a comprarla era troppo tardi: bandiere tricolori esaurite in tutta la città. Mia nonna fece il giro dei negozi di tessuti del quartiere, ma anche le stoffe tinta unita bianche, rosse e verdi erano esaurite. Tutta la città si era dotata di un tricolore da sventolare e io non avevo niente. La finale era in luglio inoltrato io e la mia famiglia ci eravamo trasferiti a Marina di Ravenna. Non ricordo chi, con un colpo di genio, mi portò ad un negozio di articoli nautici. E lì trovai una piccola, meravigliosa bandiera tricolore con i simboli delle Repubbliche Marinare.  Vedemmo la partita a casa degli zii che avevano la TV a colori anche al mare. Fu bellissimo. Non ricordo i commenti di Martellini, né l’urlo di Tardelli perché in quei momenti urlavamo e ci abbracciavamo. Al fischio finale scendemmo tutti in strada ed io sventolai orgogliosissimo la mia bandiera della Marina Mercantile Italiana. Dopo un po’ passarono dei ragazzi su una 500 col tettuccio aperto e mi chiesero se gli prestavo la mia bandiera. Mio babbo mi fece cenno che era bello se gliela prestavo. Gliela detti e guardai la 500 partire con la mia bandiera che sventolava dal tettuccio. Con mia sorpresa dopo pochi minuti tornarono e mi restituirono la mia preziosa bandiera. Io ripresi a sventolare come un vero campione del mondo.

Jeremy Bentham (un anno e qualche mese), giaceva in una culla avvolta dall’afa di Siracusa, dove i suoi genitori erano in vacanza. Riconoscibile già da diversi ghigni, palesi in una personalità volta a rompere gli zebedei a chiunque gli si rivolgesse, aveva la sensazione di non essere troppo cosciente che quello che passava in televisione era un evento importante che lui avrebbe mancato. Una sottile percezione di fallimento lo invase e cominciò a piangere e a pretendere di essere cullato. Fu la prima volta che sentì l’eco di una pronuncia ingiusta e stentorea: “Bamboccione”, mentre il Tardelli squarciava l’etere e la visione con la sua smorfia gloriosa.

Giampi (tredici anni e un cuore pieno di paura ), in un bar di un paese sull’Appennino tosco-emiliano durante il campeggio degli scout. Sdraiati a terra sul pavimento fresco. Al termine della partita, offrii ghiaccioli a tutti.

Marinda (una teenager in trasferta), come già anticipato nell’articolo nel numero dell’Undici di maggio  http://www.lundici.it/2012/05/parigi-val-bene-una-messa-in-piega-per-non-parlare-di-cannes/, si trovava a Parigi per tutto il mese di luglio, non avrebbe compiuto 16 anni fino a settembre. Intanto girava per la Ville Lumiere, aveva visto Italia-Argentina e soprattutto Italia-Brasile in un bar vicino a Louis Vuitton, pieno di giapponesi che ridevano, e pregava. Sissignore, pregava. Perchè, santocielo, quei cazzo di Francesi erano proprio odiosi e anche se la ospitavano per ben 4 settimane, da quando la Germania li aveva eliminati, se ne fregavano ben loro dell’Italia, di Paolo Rossi, Cabrinì, Scireà o Soff. La finale l’aveva guardata sola, con un’altra italiana, amica, ma quando era finita: “Filles, dodò” (ragazze a nanna). insomma i nostri padroni di casa erano stati nell’orto a innaffiare, e non si erano affacciati nemmeno sentendo i nostri urli per i vari goal. I vicini vedevano un film, francese, bien sur. Comunque avevo fatto un voto da vera interista: “Se Altobelli gioca e segna, accendo un cero da 10 franchi a Notre Dame”. Il giorno dopo l’ho fatto. Da allora preferisco gli inglesi ai francesi. E son ancora interista.

Matzeyes (9 anni).Il rigore di Cabrini mi diede l’illusione ottica del gol e prima di riflettere ero sul terrazzo a gridare la mia gioia. Il vicinato non apprezzò. Al triplice fischio di Coelho sperimentai un’inattesa magnanimità dei genitori, che mi portarono sul lungomare di Rimini a osservare la follia collettiva. Nella mia memoria, indelebili, un seno rosso e un seno verde (inframmezzati da bianco naturale) generosamente mostrati da due avvenenti giovincelle dall’alto di un camion. Da allora le mie estati non furono più le stesse.

Sull’aereo con Pertini

Max Keefe (14 anni) Max quattordicenne, brufoloso e occhialuto era al mare con la sorella da amici in un posto che si chiama Pedaso. Quel tipo di estati che si facevano una volta, con pranzi enormi, tre ore di silenzio assoluto nel pomeriggio assolato e le tre ore canoniche prima di entrare in acqua (anche se avevi mangiato un’insalata). Non c’erano grandi divertimenti a parte un cinema a venti chilometri e ci si andava in treno perché nessuno dei genitori ci avrebbe mai accompagnato. Vedemmo con delle amiche di laggiù Il tempo delle mele e 007 solo per i tuoi occhi.
La finale la vedemmo in mezzo a una bolgia di gente in casa. Credo che avessero un televisore a colori di belle dimensioni per l’epoca.

rashmani (18 anni). Mancavano tre giorni all’orale per la Maturità Classica. E quattro al primo giorno di lavoro estivo, “la stagione”. E proprio come alla maturità, arrivai alla Finale carico di sicurezze. Trasmettevano la partita al Teatro Novelli, che cazzo di scelta per una Finale del Campionato del Mondo, quasi blasfema. Il rigore di Cabrini colpì come una prima risposta completamente cannata all’orale. La tripletta successiva fu invece come tre risposte giuste, di difficoltà crescente. Ironia della sorte, l’orale andò proprio così, cannai subito la prima risposta e poi mi ripresi, uscii dall’esame con molta meno gloria dell’Italia di Bearzot ma con pari soddisfazione. L’uscita dal teatro invece avvenne ben prima del fischio finale di Coelho, quando ormai “non ci prendevano più”. Poi gente, gente, gente, macchine, clacson, trombe, tamburi, tricolori ovunque (anche io ricordo le tette tricolori, Matzeyes, ma con un sapore più ormonale!), bandiere sventolate, indossate e “invrucchiate” nelle ruote di uno sfortunato motorino, chilometri a piedi sul lungomare a urlare, bere, abbracciarsi, baciare, fino ad una fontana a distanza siderale. Fontana dove ovviamente ci tuffammo in mille, tutti e mille Campioni del Mondo.


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