I nostri “futuristi” – e a me tutto sommato non piace un granchè nemmeno Marinetti mentre continuo ad avere una certa ammirazione per il chiaro di luna – disdegnano memorie, trasmissioni di saperi e con esse le competenze che circolano attraverso riti di passaggio e scambio allargato di capacità maturate. Preferendo ad esse improvvisazione scambiata benevolmente per creatività, approssimazione spacciata per genialità, immaturità benvista come innocenza. E d’altra parte meglio così verrebbe da dire a guardare grandi e piccoli vecchi che non sanno diventare adulti e i comportamenti delle classi dirigenti propositive solo di cattivi esempi. Il fatto è che i maestri, cattivi, sono il profitto e il mercato, che orientano tutto con una capacità pedagogica formidabile. Così non si impara da chi sa ma da chi mostra, persuade, convince, dalle tribune elettorale, dai salotti televisivi, dalle vetrine mediatiche e non, dai messaggi pubblicitari, con un tremendo e bestiale predominio della parola sui fatti, della comunicazione sull’informazione, dell’esibizione sul sapere, della superficialità effimera sull’approfondimento, dell’adesione sul pensiero critico. E dell’indulgente comoda tolleranza sulla severità e la responsabilità. Non è possibile sperare di meglio da un sistema che è stato capace di rendere gli uomini schiavi facendo loro credere di non essere mai stati meglio, di fargli preferire la delega alla partecipazione, di persuaderli che è auspicabile essere consumatori e telespettatori piuttosto che cittadini e elettori.
A costo di essere meno liberi, a costo di stare isolati e soli ma al sicuro, a costo di rompere qualsiasi vincolo di solidarietà e coesione in cambio di una egoistica tranquillità. A costo di preferire il consenso all’obbligo di educare, l’ubbidienza a quello di ragionare, la dipendenza all’impegno di essere autonomi e di crescere creature libere. Quelli prima di noi hanno avuto un terribile esempio che ha offerto loro la possibilità di discernere tra bene e male: oggi viviamo il un dispotismo che fino ad oggi è stato blando, insinuante, addomesticato e addomesticante. Le vittime, i sommersi erano quasi invisibili, marginali, muti. Gli scoppi di collera erano bollati come disordine che turbava il nostro letargo. Quel tempo è finito, è finita la pacificazione del consenso e del consumo. È il momento della disubbidienza attiva, della ribellione pedagogica. È il momento di imparare e insegnare l’indivisibilità dei diritti, la inevitabilità della ribellione, la volontà della democrazia.