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Mafia e appalti, l'operazione "Gotha III" porta all'arresto di 15 persone. C'è anche Cattafi

Creato il 28 luglio 2012 da Andreaintonti

foto: gazzettadelsud.it

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Barcellona Pozzo di Gotto (Messina) - «I barcellonesi contano sempre di più nel panorama mafioso siciliano», ha spiegato il procuratore capo di Messina Guido Lo Forte a margine dell'operazione denominata “Gotha III”, con la quale sono state eseguite nei giorni scorsi dai carabinieri del Raggruppamento operativo speciale e del Comando provinciale di Messina 15 ordinanze di custodia cautelare ed il sequestro di beni per 15 milioni di euro contro i clan della cosa nostra barcellonese nell'ambito di una operazione che è naturale prosieguo delle operazioni “Pozzo”, “Gotha II” e “Pozzo-Gotha II”[1] che dal 2009 hanno più volte inferto duri colpi al vertice dei clan locali.
Al centro delle indagini – dove importanti si sono rivelate le dichiarazioni di collaboratori e testimoni di giustizia – il sistema estorsivo e quello delle infiltrazioni negli appalti pubblici. Agli arrestati vengono a vario titolo contestati i reati di associazione mafiosa, estorsione, omicidio ed intestazione fittizia di beni aggravati dalla finalità mafiosa.
Nell'ambito di “Gotha III” le forze dell'ordine hanno trovato nuove prove in merito al coinvolgimento di Antonino Calderone - all'epoca latitante ed arrestato nell'operazione “Pozzo” - nel triplice omicidio di Sergio Raimondi, Giuseppe Martino e Giuseppe Geraci, avvenuto a Barcellona Pozzo di Gotto nella notte fra il 3 ed il 4 settembre 1993 per il quale erano stati indagati, venendo poi assolti, Carmelo D'Amico e Salvatore Micale.
Tra gli arrestati dei giorni scorsi spicca il nome dell'avvocato barcellonese Rosario Pio Cattafi[2], il cui ruolo di «soggetto apicale dell'organizzazione barcellonese e collettore fiduciario dei proventi illeciti» delle famiglie barcellonesi e delle famiglie della mafia catanese è stato descritto negli ultimi tempi da vari collaboratori di giustizia, tra i quali anche ex esponenti di vertice del clan come Carmelo Bisognano.
Con questa operazione è stato possibile definire anche gli equilibri interni alle famiglie barcellonesi dopo la cattura di Bernardo Provenzano e dei Lo Piccolo. Dall'arresto di questi ultimi al vertice dei barcellonesi e dei “tortoriciani” ci sarebbe stato Tindaro Calabrese, alleatosi con il clan palermitano dei Lo Piccolo rompendo così sia la storica alleanza con i catanesi Santapaola che con il gruppo di Sebastiano Rampulla, “Zu Vastianu”, del mandamento di San Mauro Castelverde.
È indagando su Calabrese che i carabinieri sono venuti a conoscenza delle infiltrazioni nel comune di Mazzarrà Sant'Andrea – suo paese d'origine – nel quale si è fatto aiutare da Roberto Ravidà, tecnico comunale anch'egli arrestato.
Inoltre il boss ha curato nel 2007 la latitanza a Capo d'Orlando di Gaspare Pulizzi, uomo di fiducia dei Lo Piccolo ed ex reggente della famiglia mafiosa di Carini divenuto oggi collaboratore di giustizia.
La latitanza di Pulizzi è stata favorita anche da Giovanni Bontempo, imprenditore arrestato durante il blitz e raggiunto da misura patrimoniale in quanto, secondo l'accusa, il suo patrimonio sarebbe frutto del supporto del clan e delle connivenze di alcuni funzionari di banca come Sergio D'Argenio della Banca Popolare di Lodi, anch'egli arrestato.
«Alla fine del 2006», racconta lo stesso Pulizzi, divenuto collaborare di giustizia dopo l'arresto, «cosa nostra strinse rapporti con i catanesi di Angelo Santapaola e fu quest'ultimo a far conoscere a Salvatore Lo Piccolo Tindaro Calabrese nella qualità di reggente dei barcellonesi». Angelo Santapaola a Catania, Calabrese e D'Amico per la zona del messinese erano i referenti diretti dei Lo Piccolo, con i quali c'era stato un vero e proprio “matrimonio” secondo la ricostruzione di Santo Gullo, altro collaboratore di giustizia, che ha descritto come l'accordo riguardasse le ditte da utilizzare negli appalti pubblici ma non i proventi delle estorsioni, che ogni gruppo gestiva in proprio[3].
«Esprimo il mio plauso all'operato delle forze dell'ordine che stanno lavorando egregiamente e che riescono a donare speranza anche alla società civile. Ritengo inoltre essenziale sottolineare come un'azione di questo calibro, coinvolgendo anche i cosiddetti “colletti bianchi”, contribuisca in modo determinante allo smantellamento di quella cultura mafiosa che è stata spesso di ostacolo al raggiungimento di più importanti risultati nella lotta alla mafia», ha detto Maria Teresa Collica sindaco di Barcellona Pozzo di Gotto. «Riprendendo uno slogan utilizzato anche l'anno scorso» - ha concluso il sindaco - «ribadisco che “Ora tocca a noi”, cittadini e amministrazione comunale, lavorare affinché la nostra città si avvii a testa alta verso il cambiamento».
Gli arrestati. Il “gruppo estorsioni”, secondo gli inquirenti, era composto da Giovanni Rao, 51 anni, Giuseppe Isgrò, 47 anni, Carmelo Salvatore Trifirò, 40 anni; Giuseppe Ruggeri, 47 anni e Salvatore Campanino, 48 anni.
Gli altri arrestati sono Giovanni Bontempo, 35 anni, imprenditore; Tindaro Calabrese, 39 anni; Antonino Calderone, 37 anni; Agostino Campisi, 51 anni; Rosario Pio Cattafi, 60 anni, avvocato; Sergio D'Argenio, 52 anni, funzionario di banca; Carmelo Giambò, 41 anni; Giusi Lina Perdichizzi, 37 anni, imprenditrice e moglie di Giambò; Roberto Ravidà, 57 annni, geometra e Giuseppe Triolo, 36 anni, impreditore.
Sotto sequestro sono finite le società riferibili a Carmelo Giambò, Giovanni Bontempo e Giuseppe Triolo, ovvero la Nilo costruzioni s.r.l.; la Biebi s.r.l.; la Operis costruzioni s.r.l.; la Sicilcasa s.r.l. La Euromare s.r.l.; la Edil Sicilia s.r.l.; la Tg trasporti snc di Triolo Giuseppe & C.; la Ng costruzioni s.r.l.; nonché le imprese individuali “Perdichizzi Giusy Lina” e “Giambò Carmelo”.

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