Magazzino 18, la Storia in Teatro

Creato il 04 novembre 2013 da Dietrolequinte @DlqMagazine

Loretta Bonasera4 novembre 2013

Il Magazzino 18 è un luogo polveroso, pieno di oggetti lì sul porto di Trieste, è un grande contenitore che custodisce storie di esseri umani privati della loro quotidianità e della loro vita. Magazzino 18 è un musical civile, scritto da Simone Cristicchi e Jan Bernas (autore del libro edito da Mursia Ci chiamavano fascisti. Eravamo italiani. Istriani, fiumani e dalmati: storie di esuli e rimasti), diretto da Antonio Calenda sulle musiche magistralmente interpretate dalla FVG Mitteleuropa Orchestra diretta dal Maestro Valter Sivilotti. Non un semplice spettacolo ma un modo per dare voce alla paura di un popolo che ha dovuto lasciare la propria terra e i propri oggetti all’indomani della seconda guerra mondiale. Mentre l’Italia iniziava a curare le ferite di un conflitto che aveva prodotto una delle tragedie più crudeli dell’umanità, su un fazzoletto di terra che ha «la forma di un cuore», si spezzava una parte della nazione e con essa famiglie, bambini e gente innocente. Mentre iniziava la pace, per altri la guerra e la disperazione continuava.

Abbiamo avuto il piacere di scambiare quattro chiacchiere con il cantautore romano che ci ha raccontato la nascita dello spettacolo.

Simone perché questo argomento?

«Perché nessuno lo conosce. Io mi sono sempre interessato alle persone che non hanno voce: i matti dei manicomi, le miniere, i soldati della seconda guerra mondiale. Quando sono entrato nel Magazzino 18 mi sono reso subito conto della grandezza di questa storia. Sembrava un terremoto. Oggetti che racchiudono delle storie. Una sedia può sembrare una sedia qualsiasi ma ha un marchio. È il marchio dell’esodo».

Mentre racconta ci mostra la sedia in questione che riporta i codici identificativi.

«Mi ha subito fatto pensare al campo di concentramento. Persone che sono diventate dei numeri. È da questa sedia che sono partito».

Ed è da quella sedia che lo spettacolo inizia. In scena oggetti provenienti dal magazzino fanno da cornice a Persichetti archivista servile e servizievole, mandato dal “Ministero” nel magazzino per adempiere al noioso compito della catalogazione degli oggetti. Ma il lavoro sterile di conteggio si trasforma in una scoperta. Un capitolo di storia impolverato prende voce grazie all’interpretazione di Simone Cristicchi il quale dimostra una grande bravura nell’alternare momenti di leggerezza a momenti di forte tragicità. Con matura intensità scenica rende viva la paura e la trasmette al pubblico che non risparmia mai gli applausi. Questo è un pubblico che ha vissuto lo spettacolo nella propria realtà quotidiana, ma la tematica no. È un tema che deve interessare ciascuno di noi.

Perché si conosce poco o niente di questa vicenda? Perché questa storia è stata investita dal silenzio?

«Questa storia è stata nascosta per vari motivi. C’è stato un silenzio diplomatico. All’indomani della fine della seconda guerra mondiale Tito diventa un personaggio importante per l’Occidente. Costituiva un ponte con l’Unione Sovietica e quindi non doveva essere messo in difficoltà. E questa era una storia molto scomoda che lo riguardava. Poi l’Italia dalla seconda guerra mondiale esce come una nazione vincitrice. Di fatto però è una sconfitta, dovette cedere un’intera regione come risarcimento di guerra. Un altro silenzio è legato alla politica. Il Partito Comunista Italiano nascose ciò che stava accadendo poiché non era conveniente che si venisse a sapere».

Ci sono storie che hai scoperto e che hai scelto di non inserire perché troppo forti per essere raccontate?

«No, nello spettacolo c’è tutto quello che ho trovato. Ci sono dei capitoli che ho dovuto tagliare per una semplice questione di lunghezza del testo. Non volevo uno spettacolo che durasse troppo, volevo uno spettacolo che non durasse più di un’ora e mezza. Per esempio accenno soltanto a Goli Otok, il lager Jugoslavo. Ci sono storie che meriterebbero uno spettacolo a sé. Ma quello che ho trovato ho raccontato».

Parole e musica danno vita ai fantasmi di una tragedia. Fantasmi scenici che rispondono a nomi reali: Marinella, Norma, Domenico, Geppino. Nomi comuni mescolati a nomi conosciuti: Sergio Endrigo, Laura Antonelli. Tutti esuli, tutti stranieri nella propria casa. Chi Dentro la buca, brano che tratta il tema tragico delle “Foibe” scandito dall’interpretazione dei bravissimi bambini del coro StarTs Lab, e chi massacrato nella strage di Vergarolla catalogata come “probabile attentato”. Tra realtà e falso storico una piccola e già eccellente attrice bionda incarna la fragilità di ogni vittima. Siamo di fronte alla paura. Una paura che non ha colore, ma solo colpevoli. Quella paura che ha trovato finalmente voce.

«I crimini che io racconto non vanno giustificati, mai. Alcuni spiegano le foibe come l’effetto di un qualcosa che era accaduto prima ma i crimini non vanno mai giustificati, chiunque li abbia commessi. Le foibe nascono in un periodo che doveva essere di pace, coinvolgono persone inermi che non potevano difendersi».

Lo spettacolo ha registrato il tutto esaurito ogni sera e ogni sera gli interpreti sono stati abbracciati da meritati applausi ininterrotti. Le polemiche dei giorni precedenti il debutto sono state giustamente spazzate via senza lasciare seguito e lo spettacolo ha la struttura forte per continuare il suo cammino. Ci vuole coraggio e sapienza, tatto e cura a trattare argomenti come questi. Tutti quanti su quel palco e dietro le quinte hanno dimostrato queste qualità. Serve onestà intellettuale per riconoscerle e far sì che questa pièce vada ancora in scena. È giusto individuare in chi ha vissuto sulla propria pelle questa tragedia il vero e unico giudice. «Non ha tralasciato nulla. Non ha sbagliato una virgola, finalmente». Queste le parole di una signora a fine spettacolo, il giudizio più prezioso.

Ci sono altre storie nascoste che vuoi raccontare?

«C’è un giacimento di storie nascoste che aspettano di essere tirate fuori. Dopo questo debutto fortunato mi godrò il momento e dopo comincerò a cercarne di nuove. In realtà c’è la storia di un personaggio che mi piacerebbe raccontare ed è Davide Lazzaretti. Mi piacerebbe fare uno spettacolo che racconti la sua vicenda».

L’augurio sincero è che questo fortunato inizio investa anche le altre date della tournée e che altri appuntamenti vengano fissati in giro per tutta Italia. Nella valigia di questa macchina teatrale chiamata Magazzino 18 c’è un concentrato di emozioni che non lascia spazio all’indifferenza.

Fotografie di Federica Zingarino e Loretta Bonasera


Potrebbero interessarti anche :

Possono interessarti anche questi articoli :