Sparpaglierò pensieri alla rinfusa, perché Magda Szabò mi fa un effetto strano. Era già capitato quando avevo segnalato un altro suo romanzo, La porta, ma con questo libro le sensazioni sono ancora più intense.
Di solito sono una dura, una lettrice disincantata e abbastanza analitica, ma la Szabò mi disarma con il suo stile asciutto, i ritratti, le sue storie di dolore. La mia lettura diventa personale, molto più del solito, e i risultati sono quasi di disagio fisico, nodo allo stomaco, parole di traverso. Mi fa fare i conti, la Magda, mi ci obbliga.
Sì, la Szabò è dolorosa. Interroga sulla vecchiaia e sulla morte, sulle viscere materne, sull'amore, sulle parole che non si riusciranno mai a dire, sugli abbracci che non verranno spontanei, sul disorientamento, i luoghi, le radici. E' un libro che mette in scena corazze e, allo stesso tempo, contribuisce a spogliare il lettore.
Con lo stile bisturi che piace a me, tutto quel grigio, quell'apparente freddezza, quest'autrice mi sconquassa ed è per questo che la affronto a piccole dosi.
Non credo di aver invogliato qualcuno con queste quattro righe e non so se è un libro adatto a chi sta cercando un equilibrio. Forse bisogna avere i nervi già belli scoperti, pensare che tanto, peggio di così.
Fa male, io vi ho avvisato.
Questo post partecipa al venerdì del libro di HMM.