Non è vero che i distributori italiani si fanno di meta-anfetamina. Non è vero che il compito di trovare i titoli ai film per il mercato italiano spetti a scimmie urlatrici. No, non è affatto così. Perché qui da noi, dove lasciare un titolo originale o tuttalpiù tradurlo è quasi illegale, sono più furbi delle faine. E inventano cose che non c'entrano nulla solo per sviare ogni possibile spettatore e fare in modo che al cinema ci vada chiunque: mamme in cinta, bimbominkia, soldati, nerd, lottatori di wrestling e chi più ne ha più ne metta. Ad esempio, chi è che sarebbe mai andato a vedere un film intitolato Maggie? Parliamoci chiaro: in pochi. Quindi meglio trovare un nuovo titolo, chessò, Contagious - Epidemia mortale, richiamare in sala gente che si aspetta un post-apocalittico o uno zombie movie e fare un bel po' di soldini. Chi se ne frega se poi le aspettative di gran parte del pubblico verranno tradite, se la gente si ritroverà con le palle a terra, se alcuni andranno via e altri si addormenteranno in poltrona. E tra quelli che bestemmieranno, quelli che faranno casino e quelli che si alzeranno per andarsene, i pochi interessati si ritroveranno a perdere l'atmosfera che una pellicola come Maggie necessita.
Maggie non è un horror, non è un post-apocalittico, non è uno zombie movie. Fan di The Walking Dead statene alla larga. E forse dovrebbero evitarlo anche quelli che vedono Arnold Schwarzenegger nel cast e già si immaginano botte da orbi, androidi dal futuro e tanta, tanta azione. Sbagliato. Perché in questo film di azione non ce n'è l'ombra, di botte ci sarà una mezza scena e di fantascienza men che meno. Credo sia importante definire cosa sia Maggie per evitare che qualcuno cada nella trappola della delusione. Maggie è un film drammatico che procede lento (fin troppo lento) e inesorabile verso un finale già scritto e sacrosanto. Un film immerso nel silenzio, la storia di un male incurabile in un mondo allo sfacelo dove a sopravvivere sono, nonostante tutto, i sentimenti. Perché sì, in questa opera di uno sconosciuto Henry Hobson si parla di tre cose: di dolore, di dolcezza e di paura.
Il dolore è negli sguardi, nelle lacrime sospese sulla ciglia, nei dubbi e nella consapevolezza, quella che tutto è perso. Che non ci sarà un lieto fine, che non ci sarà una salvezza. Il dolore afferra il cuore dello spettatore e lo stritola nonostante si eviti quasi sempre il ricatto emotivo. Ovviamente delle cadute in tal senso ci sono, ma Maggie procede così lieve che ce ne accorgiamo solo dopo, magari persino alla fine del film. La dolcezza invece è quella che si respira sottopelle, che traspira in un abbraccio, in un bacio, nelle mani di un uomo che accarezzano sua figlia o stringono quelle di sua moglie. In un "ti voglio bene" e un "rivediamoci presto" che sa di addio. Una dolcezza che fa male ma regge un film che altrimenti cadrebbe come un castello di carte. La paura poi fa da collante. Perché se Maggie è la storia di Maggie e del suo lento trasformarsi in uno zombie raccontata da un punto di vista intimo, familiare, la paura è quella che si respira in un mondo dove le cose stanno andando a puttane. Dove c'è una malattia che trasforma la gente e la rende pericolosa. Ma, anche in questo caso, non si tratta di una paura del diverso, della paura della morte o della paura più atavica: quella dei mostri. Si tratta della paura della perdita. Della consapevolezza che quel che amiamo ci verrà strappato via o del terrore che questo possa accadere.
In Maggie il tema zombie diventa una metafora. Ed è giusto così, perché quella degli zombi è nata come metafora, al cinema, tanti anni fa. Ma se con Romero si parlava di politica, con il film di Hobson si tratta la fragilità umana. La fragilità di un uomo come Wade Vogel (dite quello che volete, per me un grandissimo Schwarzenegger), della moglie Caroline e della figlia, Maggie. La fragilità di una comunità, di un pezzetto di umanità. Perché Maggie parla della vita che ti prende a schiaffi e di un dio che non risponde alle preghiere, perché non c'è o forse non esiste. Questo film mostra cosa voglia dire perdersi quando la fine del mondo si avvicina, ma non il mondo inteso come umanità bensì quel piccolo mondo personale in cui viviamo e che, per noi, è più importante di qualsiasi cosa.
Ora, forse chi sa cosa voglia dire quando il mondo ti crolla addosso entrerà in empatia con il film più di altri, ma io non posso fare altro che consigliare la visione di Maggie a chiunque. E' vero: è lento, lentissimo, pure troppo, ma questo è un film capace di prendervi e stritolarvi il cuore. O di mordervelo e divorarvelo, fate voi.