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Magia delle mani (Versi di Silvestro Scrivo, 1959-2005)

Da Bruno Corino @CorinoBruno

Magia delle mani (Versi di Silvestro Scrivo, 1959-2005)
Un giorno Silvestro mi fece dono di questi "preziosi" versi affinché li "rivedessi". Disattesi il mio impegno, non tanto per pigrizia quanto perché ero convinto che un testo, qualunque testo, grande o piccino, bello o brutto, meriti un grande rispetto. Bisogna accettarlo in ogni sua parte, nel bene come nel male. Quando li ho presi in mano, dopo averli decifrati nella loro grafia contratta e spigolosa (alcune parole sono rimaste infatti indecifrabili), li ho voluto meditare. Non nascondo il fatto che la morte precoce dell’autore ha proiettato una luce nuova su questi versi, cioè li ha dischiusi a un senso più prezioso.
L’impressione che se ne ricava è di trovarsi di fronte a una poesia “strozzata”, strozzata non solo nell’ispirazione, ma anche nella composizione. S’avverte il bisogno e l’urgenza, sotto la spinta di altre delusioni, di scrivere questi versi, ma, allo stesso tempo, s'avverte la mancanza di mezzi tecnici ed espressivi per portare a termine e dare un senso poetico a questa composizione. È Silvestro stesso ad avvertire questa strozzatura poetica, quando scrive: «Oh Donna ascolta, ascolta insieme a me questa canzone, sulla nostalgia che m’infonde creo l’abbozzo di questa poesia».
Questa strozzatura appare come l’emblema e il sigillo della vita del poeta, anch’essa strozzata da un male incurabile: ma quell’ansia di vivere e di scrivere, quel continuo ripetere della poesia come ultima ancora di salvezza a cui aggrappare le sue ultime illusioni, quel voler continuare nel gioco dell’inganno sebbene la vita gli avesse riservato tante delusioni, quel credere ancora nella speranza che il sogno, il sogno possa continuare e mai spezzarsi, fa di Silvestro un autentico poeta, un poeta che ha creduto soltanto nella magia delle parole. Si leggano gli ultimi e commoventi versi di questa composizione: « Tra il sorriso e il pianto mi guardo le mani/E il non saper bene usarle mi rende infelice./Ma in questo momento intravedo,/nelle mani la vera forza, la vera umana Magia».
Le mani che ancora riescono a tenere una penna con la quale, com’egli scrive, imbrattare le immacolate pagine, quelle mani ch’egli vorrebbe donare alla sua Donna, alla Poesia, Silvestro le vede come un vero miracolo della Natura, come l’essenza pura della Magia. Ed è da questi versi strozzati, che fuoriescono come teneri virgulti barlumi di poesia, come se fossero sospinti da un’ansia di pensare e di riflettere, di credere e di amare. Questo antico e appassionato lettore di Omero, che scaldava le sue corde poetiche al lume di una candela, come Foscolo e Petrarca, continuerà a parlarmi ancora attraverso i suoi versi “strozzati”.

Magia delle mani
Voglio farti un dono voglio, donarti ciò che nessun uomo
donò alla sua donna… Ecco, prendile, afferrale,
stringile forte fino a farle Male, son tue e con esse
stringi tutto l’ardore che racchiudono:
“Son le mani che ti porto in dono,
le mie mani e con esse l’amore.
Ma…se non potrai o non vorrai
donarmi il tuo cuore,
se verso me sentirai avversione
lasciale…lesta! Dimentica d’aver
avuto come tuo un dono tanto prezioso
Non stringerle, non sfiorarle col caldo alito
delle tue labbra, non illuderle. Dimenticale.
Semplicemente dimentica tutto ciò che possano scrivere.
Lasciamo intanto che l’illusione continui”.
Oh Donna che vivi nel Mondo dell’ignoto!
E del desiderio, donna senza volto e forma alcuna.
Oh Donna che con la sol presenza liberi il mio essere!
Oh Donna che con il sol respiro mi strappi al silenzio
nel qual m’ostino a vivere, e che sai fondere con l’ardente fuoco
degli occhi tuoi le sbarre di questa prigione
ove con irregolari cerchi vaga la fantasia,
prigioniera del Misantropo carnefice
che gode del lamento del perdente.
Oh Donna ascolta, ascolta insieme a me
questa canzone; sulla nostalgia che m’infonde
creo l’abbozzo di questa poesia.
Com’è difficile dimenticar del tutto ciò che si è stati.
Dimenticarsi di ciò che s’è avuto.
E s’è dato. No, no, credo che nessuno
potrà rinnegar se stesso. Sempre ci sarà
qualcosa o qualcuno che uscendo dalla tomba
nella quale avevamo sepolto il nostro passato
ci ricorderà con un sol cenno il fu delle ore passate…
Ma ascolta, ascolta in silenzio, questo motivo antico
e addormentati mentre accarezzo con dolcezza
i tuoi capelli d’or splendenti
……
saprò amarli, corti o lunghi
hanno sempre ispirato tenerezza al mio cuore,
li amerò o Donna, li amerò
come non ho amato mai e veglierò,
certamente veglierò sul tuo sonno,
socchiuderò anche gli occhi miei
onde incontrerai nel giardino dei fiori,
quel giardino che già una volta esplorai…
lo riconoscerò dagli odori
che m’inseguono confondendosi
fra loro onde creano una sola fragranza.
Attiva i risvegli; mille sono i colori
e mille i fiori mille le melodie
e mille gli uccelli che lo abitano,
non esiste alcun portone
tutti possono entrare nel giardino della pace:
è la Magia Bambina.
Ah, potenza dei sogni, o misera e vigliacca
realtà senza inganni. Gli occhi,
devono dischiudersi gli occhi, bisogna,
seppur con tristezza, ritornar nel mondo
quello fatto di violenza e autocommiserazione.
Ben diverso dall’incantato Giardino:
è l’odore del destino….
Il mio puzza di putredine. Son fatiscenti le carni.
Ha troppo sofferto il corpo. Per i soprusi dei vizi…
Ed è lei, lei soltanto l’unica ancora
alla quale di tanto in tanto m’aggrappo
quando spiran con violenza inumana
le tempeste depressive.
La mano che impugna l’oggetto di salvezza:
la “penna”. Si vola insieme, si sondan gli umori
e s’imbrattano d’inchiostro le immacolate pagine
e d’ingiurie e d’amor e di lacrime
di tutto vien scritto di tutto descrivo
è con me non la Musa, mai posseduta,
ma la voglia di scrivere.
È per me conforto. Frena lo spirito. Solleva l’anima…
Tutto prende corpo. Una silenziosa voce
che ode soltanto chi scrive,
sento bisbigliare i sentimenti che discutono di tutto,
anche di morte essi parlano e di visioni…
una visione uguale a un miraggio
da tempo m’assedia la mente.
Su un piedistallo, in uno sbiadito sfondo,
d’un color che non so definire,
fra il crepuscolo e la notte fonda
in una semioscurità di palpitante magia
e d’angoscia vedo una strana Afrodite…
Dissemina trappole lungo il cammino
infinito d’incubo. Nelle quali in tutte
io cado, nel sogno sento crescere in me
la vergogna orribilmente bella
ride in modo sguaiato
e tenebroso e le guance s’imperlano di lacrime
lussuriose…….
China il capo, vergognoso, e si guarda le mani
La vedo sorridere e risorgere alla vita,
mentre Afrodite lentamente scompare.
C’è lei, lo so, nell’allegoria del sogno, c’è lei.
La gioiosa beltà del passato e la sete di sesso
Che le sconvolgeva il sangue.
Poesia, poesia ch’ella poco amava
e ancor meno capiva m’accecò in quei tempi,
m’ingannavo, m’ingannava, ed io pien di fiducia
dell’amore suo le dedicavo poesie…
L’angelico volto aveva tratto in inganno
tutte le emozioni concentrandole
in un patetico amore perito tra i vizi.
Ed ancor la sogno, lei, statua perfetta,
scolpita da un maestro, mentre lo spirito dell’alcol
s’impossessava della mente del maestro,
scolpita per la mia dannazione.
Dalla gioia all’illusione al credere nel fato avverso.
Tra il sorriso e il pianto mi guardo le mani
E il non saper bene usarle mi rende infelice.
Ma in questo momento intravedo,
nelle mani la vera forza, la vera umana Magia.
   Saracena 25 novembre 1998


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