Magic in the moonlight

Creato il 20 dicembre 2014 da Ladri_di_vhs

Attori protagonisti: Colin Firth, Emma Stone

A quel piccolo ometto di Woody Allen è impossibile volere male, a maggior ragione quando ci si rende conto che per lui fare film è davvero tutto, anche leggendo alcune sue piccole interviste. Quindi l'appuntamento annuale con un film del genio newyorkese è ormai una tappa fondamentale per ogni appassionato che si rispetti. Dopo alcuni passi falsi, Allen è tornato l'anno scorso con Blue Jasmine (che abbiamo recensito ai tempi), un film abbastanza riuscito e anche molto amaro. Quest'anno ci porta nel 1928, nel Sud della Francia, dove Stanley (interpretato da Colin Firth), un famosissimo illusionista, viene incaricato di smascherare una giovane sensitiva di nome Sophie, interpretata da una splendida Emma Stone.

C'è da dire innanzitutto che la prima cosa che colpisce è l'estremo gusto fotografico che ci accompagna per tutta la durata, piccoli quadri in movimento si susseguono sequenza dopo sequenza, affascinando e ammaliando. In questa cornice Allen ripropone diversi temi a lui molto cari, come il rapporto con Dio e la fede in generale, il rapporto con la filosofia, il tutto filtrato con il solito approccio nichilista che è la spina dorsale di gran parte delle pellicole di Allen. In questo lungometraggio, grazie all'ottimo e sornione Colin Firth, ci porta nei meandri di una ricca famiglia della Provenza, in evidente crisi d'identità, che cerca appiglio nella magia, nel paranormale, mostrandoci una borghesia spaesata e senza effettivi punti di riferimento. Stanley fa da contraltare con la sua ironia tagliata con l'accetta, cercando di far crollare i castelli di carta di tutti coloro che lo circondano. L'incontro con la giovane sensitiva, però, farà emergere lati della sua personalità che non poteva immaginare di possedere, incominciando una ricerca interiore che lo porterà a rivedere e a rivalutare in negativo tutto ciò a cui aveva creduto in quel momento e, di fatto, a farsi trasportare dall'inaspettata bellezza della vita.

È un film liberatorio, dove Allen opera un ennesima catarsi, trasportando sé stesso e le sue idee all'interno del personaggio principale (escamotage utilizzato molto spesso, basti pensare, parlando di suoi film più recenti, al Boris di Basta che funzioni), senza aggiungere nulla di nuovo al suo percorso, perché, come già detto, sono temi quelli affrontati qui già setacciati per bene in passato dal regista, ma che vengono proposti con una genuinità tale che non si può non provare un'immensa stima per questo autore, che si diverte anche in questo lavoro a prenderci un po' in giro, a depistarci, a farci credere una cosa per un'altra, a darci una nuova visione dei personaggi che verrà scardinata un attimo dopo, ma facendo prevalere i buoni sentimenti, il che non fa male. In definitiva, una pellicola riuscita, gradevole e ben scritta, di certo non un capolavoro, ma molto onesta e di classe se vogliamo. Insomma, nel bene o nel male, vedere un film di Allen, che pare essere tornato in sé dopo la cantonata To Rome With Love, non può che essere un piacere, e gli auguriamo di continuare a fare film per altri cento anni.


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