Magic & Loss – Lou Reed (1942-2013)

Creato il 27 ottobre 2013 da Carusopascoski


Mi piacerebbe poter dire che Lou Reed e i Velvet Underground li conobbi con European Son o Sister Ray, ma non è così. Successe con un disco di bootleg che un negoziante furbacchione indicò come il loro capolavoro a un allora sedicenne coglioncello curioso, pur di vendergli un disco e toglierselo dalle palle. Iniziai ad amarli con questa canzone, finirono col rivoluzionare tutto il mio apparato percettivo, iniziando a formare un senso estetico in cui il rumore mi solleticava come l’armonia, se non si confondeva direttamente con esso. Il fascino estremo che questo brano invece molto apollineo esercita su di me a distanza di anni resta un mistero insolubile e bellissimo.

Oggi in tanti salutano un vero Gigante, che ha cambiato la mia vita e quella di tante altre persone, e lo saluto anch’io, con questi ricordi sparsi, l’eco dell’unico suo concerto a cui ho assistito – Pistoia Blues 2011 -.

Lo scrittore Marco Rovelli scrive a ragione che da quando “esistono i social network abbiamo la necessità di condividere un piccolo lutto per un personaggio pubblico, che incarna una nostra rappresentazione in quanto le sue produzioni sono state parte della sfera della nostra affettività. Non parliamo mai di colui che muore, ma di noi stessi”.
Cos’è Lou Reed per me, dunque?
Per iniziare, e anche per finire in tempi non estenuanti per chi legge: se dovessi spiegare a un alieno l’esperienza del dolore umano gli direi di sedersi, mettersi le cuffie e ascoltare questo disco.

Anche uno dei migliori brani di critica musicale che abbia mai letto riguarda Lou Reed. Certo, si tratta pur sempre di Lester Bangs e di gonzo journalism (e quindi per chi scrive di Zeus e l’Olimpo), ma questa intervista tra il miglior critico rock e uno dei migliori rocker di tutti i tempi (con tanto di “odi et amo” tra i due) è un “must” assoluto e dovrebbe esser insegnata durante l’ora di educazione musicale a scuola. E a chi dice che la critica musicale non serve a niente rispondo che senza leggere Lester Bangs avrei continuato a fraintendere Lou Reed. Eccone un estratto:

“Hey Lou, then doncha think David Bowie’s a no-talent asshole?”
“No! He’s a genius! He’s brilliant!”
(It makes sense that Lou would say that, since he allegedly made an ass of himself by falling in love with Bowie when he went to England last summer.)
“Ahh, c’mon, what about all that outer Space Oddity shit? That’s just Paul Kantner garbage!”
“It is not! It’s a brilliant masterpiece! Oh, you are so full of shit!”
“It was dogshit. Why don’t you get off all this crap and just try beingbanal for a change? Why doncha write a song like Sugar, Sugar? That’d be something worthwhile!”
“I don’t know how. I would if I could… l wish I’d written it…” Jeez, the poor bastard was getting so pathetic even his overwhelming maudlin streak was beginning to get to me! Like all the last year every time his name comes up all you hear is “Poor Lou!” Poor Lou, poor Lou, poor poor poor Lou Reed! You wouldn’t wanna be in his shoes! The tortured artist! The poor hamstrung sensibility! But I was too drunk for brakes, so I got even more personal and abusive: “Hey Lou, why doncha start shooting speed again? Then you could come up with something good!”
“I still do shoot it… My doctor gives it to me… Well, no actually they’re just shots of meth mixed with vitamins… well, no actually, they’re just vitamin C… injections.”
It went on like that for a while; finally, the whole thing sort of flaked into silence, and a girl from his organisation had to come and carry him off to his room.
But I’ll always carry that last picture of him, plopped in his chair like a sack of spuds, sucking on his eternal Scotch with his head hanging off into shadow, looking like a deaf mute in a telephone booth. (He’s still pretty cool, though; I stole that last phrase from him.)
If all this makes you feel sorry for him, then you can compliment yourself on being a real Lou Reed fan. Because that’s exactly what he wants. Then again, maybe time is still on Lou Reed’s side. A few days later I was sitting in my room when the door flew back and in barged Josh, nine-year-old son of one of the people I live with. He’s one of these typical little prepube smartasses with long hair and a big mouth, and he immediately demanded: “Where ‘dja get alla records?”
“Cute kid,” thinks I. “Maybe I’ll give him a copy of the Electric Company soundtrack.”
“Hey!” he poots. “Yagotenny Vaaaan Morrison or Leeon Russell?”
Awright you little popsickle pecker, I’m getting pissed at all this blatant trashing of respect for elders. So I drag out a copy of Transformer: “Wanna hear this?”
“Naaah,” he snorts. “I awready got a copy.”
“Oh yeah. What’s your favourite song on it?”
“New York Telephone Conversation. But my brother likes the one that goes ‘shaved ‘er legs an’ then he was a she‘.” His brother is eight.
“Well, then, whattaya think of it?” I was a broken man.
“I think it’s great! We play it all the time.” So there you are. A bit later I tried to put on an America album and the brat called me a “health food eater”. He’s obviously a prodigal snot, but you can’t ignore the evidence: Lou Reed may be leagues from the peak of his creative powers, he may be a deteriorating silhouette of a star…
But give him a child from the time he’s nine.

Non starò qui a scrivere l’ennesima versione della carriera di Lou Reed, la troverete ovunque, su internet e in libreria, e vi assicuro che vale la pena leggere qualsiasi cosa che riguardi la sua vita, a partire dal suo scrittore preferito – e in Italia praticamente sconosciuto – Delmore Schwartz, oltre ai mille aneddoti che lo riguardano personalmente e ne hanno ispirato poetica ed azioni. Ma qualcosa della sua carriera val la pena sempre di ricordare, a costo di essere ripetitivi. E’ il momento più letteralmente epico della vita non solo artistica di Lou Reed, ciò che lo consegna alla leggenda. E’ Metal Machine Music, che lui stesso commenterà così : «Le mie intenzioni erano serie. Ma ero anche molto, molto fuori di testa». Il più grande vaffanculo nella storia della musica. Assimilabile concettualmente alla Merda d’Artista di Manzoni, qui Lou Reed esporta nel rock la poetica che John Cage aveva applicato alla teoria musicale. Lo fa con ancora meno infrastrutture logico-verbali e senza alcuno spirito di osservazione, ma con la sola forza del suo stesso baratro. Metal Machine Music è un monumento alla follia, un suicidio commerciale intenzionale e una delle più grandi opere rock mai partorite, se non l’essenza più estrema del rock stesso.

Fine delle storie, delle teorie e dei ricordi su Lou Reed per questo blog, che vi risparmia mille altri aneddoti più o meno curiosi sul rapporto tra il suo curatore e uno dei più grandi rocker del novecento: si va da futili top 5 fino al racconto di come ami veder mio padre canticchiare Walk On The Wild Side mentre guida la macchina, battendo il palmo della mano sul cambio al ritmo della canzone.

Come vedete, si entra nella parte dove comanda il cuore, che nel mio caso ama esser prolisso. Ma se stasera chiedessi al cuore una canzone, una sola per non far troppo chiasso all’ombra di questo Gigante oggi scomparso, questa sarebbe la risposta.

Magic & Loss.
Che la terra ti sia lieve, Lou.


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