Quando il grande pubblico pensa al cinema horror, il più delle volte ha in mente quello che la grande industria lo ha costretto a considerare come tale, ovvero film di mostri, demoni, fantasmi, killer o famiglie sadiche. Ed è effettivamente quello che il più delle volte il cinema horror ci offre. Il problema è che, le poche volte che l'horror ci offre qualcosa di diverso, il pubblico tende a rifiutarlo. Proprio per questo non è facile parlare di un film come Magic Magic: non è quello che il pubblico definirebbe "un horror" e probabilmente non è nemmeno quello che il pubblico definirebbe un bel film. Niente di strano, quindi, che la prima pellicola americana del regista cileno Sebastian Silva sia stata snobbata da critica e pubblico e destinata direttamente al circuito home video (negli States, qui da noi neanche è arrivato).
Ci ho messo molte ore per impostare questa recensione di Magic Magic. Questo è un film che si può odiare o amare senza mezze misure: novantotto minuti in cui non succede praticamente nulla. All'apparenza. La storia di Alicia, ragazza statunitense che si ritrova per la prima volta al di fuori del proprio ambiente naturale (gli Stati Uniti), coinvolta dalla cugina Sarah in un vacanza cilena in compagnia degli amici di lei. Tre ragazzi che Alicia non conosce, leggermente antipatici, con cui la ragazza sarà costretta a convivere in una baia isolata su un'isola lontana alcune ore dalla civiltà. Il vero problema sorge però quando Sarah è costretta ad abbandonare l'allegra comitiva e Alicia si ritrova da sola in mezzo ad estranei in mezzo al nulla. Ed è qui che ha inizio l'incubo.
Parliamoci chiaro: Magic Magic è uno dei film più originali che mi sia capitato di vedere negli ultimi anni. Silva gioca con gli stilemi del genere e mischia gli ingredienti tipici di tanto cinema di genere creando qualcosa di assolutamente diverso. Anche qui c'è una baita sperduta nel nulla, un gruppo di ragazzi in un paese straniero, un'atmosfera da slasher adolescenziale. Eppure non ci sono mostri, né ricettatori d'organi, né killer psicopatici. C'è solo una ragazza intrappolata nel più tremendo degli incubi: quello di ritrovarsi sola tra estranei poco piacevoli e per di più ambigui. Ed è l'ambiguità il vero deus ex machina del film: ambigui sono i personaggi, ambigua è la storia narrata filtrata dallo sguardo (ambiguo) di Alicia, ambiguo è lo stile di regia di Silva che si affida a vari trucchetti (come il fuori fuoco, in una delle scene più belle e inquietanti del film) e dissemina indizi per tutta la durata della pellicola senza per questo dare mai una spiegazione a quel che sta accadendo.
Magic Magic è un film sgradevole. Sgradevole è il personaggio di Alicia al limite dell'autismo, sgradevole è Sarah che non dice la verità su se stessa, sgradevole e il suo ragazzo Augustin che agisce con l'unico scopo di compiacere Sarah. Lo stesso si può dire dell'acidissima Barbara, sorella di Augustin, ma soprattutto sgradevole è Brink, il più ambiguo di tutti a partire dalla sua identità sessuale. I continui litigi tra lui e la protagonista solo il motore del film: Brink è un ragazzo come tanti altri, in bilico tra dolcezza e crudeltà, infantile ma estremamente sensibile, un insicuro che ostenta sicurezza nel tentativo di mettere fine al disagio che lo attanaglia. Un disagio che, al contrario, Alicia non sa affrontare se non con la follia. Il dramma di sentirsi fuori posto all'interno del branco e, quindi, diversi. Per questo i due entrano in conflitto: sono uguali ma affrontano le loro problematiche in maniera diametralmente opposta. E intanto lo spettatore precipita in questo vortice di ansia e nevrastenia, intrappolato anche lui in un contesto estraneo che non può (e non vuole) accettare.
Come ho detto all'inizio, questo film può piacere molto o fare letteralmente schifo. A me è piaciuto molto. Polanskiano nello sviluppo, herzoghiano nell'affrontare le difficoltà dell'uomo immerso in un habitat estraneo. Lento, lentissimo fino al twist finale, forse fuori luogo ma assolutamente ansiogeno. Non ci sono spiegazioni, c'è solo l'ispirazione di immagini tecnicamente perfette immortalate dal direttore della fotografia Christopher Doyle. E ci sono le prove impressionanti di Juno Temple (ve la ricordate in Killer Joe?) e Michael Cera che, senza abbandonare la solita aria da nerd si trasforma in uno dei personaggi più inquietanti che il pubblico abbia avuto la fortuna di vedere negli ultimi anni. C'è questa canzone, il latrare dei cani e la dura realtà che si dissolve lasciando posto all'incubo. Ah, c'è anche Emily Browning, bella da far paura. Insomma, questo film l'avremo visto in dieci ed è un gran peccato, anche se al grande pubblico probabilmente non piacerebbe. Poco male, io l'ho visto e lo consiglio, potrebbe essere un bel regalo da farsi in una noiosa domenica pomeridiana.